Pesanti, a volte pesantissime, ma spesso non pericolose come al Nord perché generate dal deserto e non dal traffico. È questa la vera identità delle polveri sottili – o fini, come preferiscono dire i ricercatori – presenti in Puglia e in tutte le regioni europee del Mediterraneo. Viene svelata per la prima volta da una ricerca finanziata dalla Regione Puglia con un progetto strategico coordinato dall’Università di Bari (Dipartimento di Chimica) e svolto con l’Università del Salento (Dipartimento di Fisica) attraverso la collaborazione di due imprese (LEnviroS srl e FAI Instruments srl). Una ricerca sulla quale mezza Europa sta tentando di mettere le mani perché ha realizzato strumenti e metodi di misurazione innovativi, che fanno luce per la prima volta sul mistero delle provenienza delle polveri fini e potrebbero risolvere una volta per tutte il problema della multe comminate dall’UE per il superamento del livello massimo di polveri.
La ricerca durata 48mesi è costata in tutto 1milione 168mila euro ed è stata possibile grazie a finanziamenti pubblici pari a 800mila euro erogati dalla Regione Puglia. Si tratta di uno dei 53 progetti strategici sostenuti dalla Regione Puglia (Area Politiche per lo Sviluppo economico, il Lavoro e l?innovazione) con 45 milioni di euro complessivi (disponibili nell’APQ accordo di programma quadro sulla ricerca). Dopo l’esperimento del tonno rosso grazie al quale nacquero per la prima volta al mondo 20milioni di larve da esemplari tenuti in cattività, la realizzazione del diamante artificiale capace di intercettare più di altri prototipi i raggi ultravioletti, e la scoperta del segreto dell’Acquaporina che ha segnato un enorme passo avanti nella ricerca mondiale sulla sclerosi multipla e sulla neuromielite, la sperimentazione su “La vera identità delle polveri sottili” entra a far parte della campagna “I Doni della Scienza”, ideata dall’Area Politiche per lo Sviluppo economico, il Lavoro e L’Innovazione per valorizzare la ricerca e rendere noti a tutti i pugliesi i risultati ottenuti dai progetti sviluppati con risorse pubbliche.
“Gli esiti di questo progetto – ha detto la Vice Presidente della Regione Puglia e Assessore allo Sviluppo economico Loredana Capone – rappresentano per la Regione Puglia il ritorno, moltiplicato, di un investimento rilevante per la ricerca, che quota 1miliardo 762milioni per la programmazione 2007-2013. Siamo la Regione che ha puntato di più in Italia su un binomio vincente: ricerca e giovani. In questo progetto vediamo all’opera un team di 23 ricercatori (più due docenti) con un’età media di ternt’anni, per la maggior parte donne, che volano davvero alto per qualità delle idee e per la carica innovativa del loro approccio alla soluzione dei problemi. A questi giovani cervelli abbiamo fornito gli strumenti per alzare il livello di competitività della Puglia, valorizzando attraverso le loro idee, il nostro stesso territorio. Grazie a loro la Puglia ancora una volta si distingue come un caso internazionale nel mondo della ricerca”.
La scoperta
La ricetta vincente di questa scoperta è nell’integrazione di metodiche e macchine non nuove ma usate in modo differente, combinando cioè dati e strumenti, integrando modelli, mettendo insieme misure da satellite e misure al suolo. Così i ricercatori pugliesi sono riusciti a realizzare un nuovo prototipo servendosi di tecnologie innovative ma già esistenti. Questo è un approccio originale applicato per la prima volta in Europa. L’arma vincente è stata mettere insieme un’impresa partner di livello europeo (la FAI Instruments srl, azienda italiana leader nello sviluppo di strumentazione per il rilevamento e la misura dell’inquinamento atmosferico) con le competenze e gli strumenti delle Università di Bari e Lecce. Il risultato è essere riusciti ad identificare l’origine delle polveri, un dato fondamentale perché è la provenienza e non il peso a determinare la pericolosità di queste particelle, che i ricercatori chiamano particolato atmosferico (PM). Si scopre così che la pericolosità può essere persino inversamente proporzionale rispetto al peso. Se le polveri fini provengono dal traffico, sono leggerissime ma pericolosissime per la salute, se invece sono arrivate fino a noi dal deserto del Sahara sono pesanti ma non nocive. Una differenza sostanziale, da un lato per la lotta all’inquinamento, dall’altro per i risvolti economici che implica.
Le Regioni che superano il livello massimo di polveri fini consentito dalle direttive comunitarie sono soggette infatti ad una multa da parte dell’UE pari a 10mila euro al giorno. Ma – spiegano i ricercatori – il parametro che viene preso in considerazione non è la pericolosità delle polveri ma il peso. Per le regioni del basso Mediterraneo, si tratta spesso di un onere notevole, perché le loro polveri spesso sono pesantissime, proprio come avviene in Puglia.
Gianluigi De Gennaro è il giovane chimico dell’Università di Bari che coordina la ricerca. “Le polveri fini del Tavoliere – spiega – sono diverse da quelle della Pianura Padana. A Milano le polveri prodotte dal traffico restano lì, come imprigionate in una piccola scatola. Il nostro territorio invece ha capacità disperdenti migliori perché c’è vento, sole, scambi di calore terra-aria. Ecco perché in Puglia siamo più soggetti agli eventi transfrontalieri cioè ad apporti di polveri da altre parti del mondo. Noi abbiamo concentrazioni di PM10 molte alte. Provengono dal Sahara e dal Nord Est dell’Europa, però per fortuna non sono così pericolose come quelle prodotte dal traffico”.
Un aspetto, questo, che l’Ue non valuta imponendo comunque multe salatissime. Il problema riguarda tutte le regioni del Mediterraneo. Per questo l’Italia con Spagna e Portogallo ha chiesto invano una deroga. Unica concessione delle direttive comunitarie è scorporare dal limite fissato la porzione di PM10 dovuta a fonti transfrontaliere, ma i Paesi interessati devono riuscire a provarne la provenienza.
E qui entra in gioco la ricerca pugliese. “Gli strumenti tradizionali – dice De Gennaro – misurano il particolato, cioè le polveri, ma ignorano da dove provenga. Noi invece abbiamo sviluppato strumenti e metodi per capire l’origine delle particelle, se sono locali o se provengono dall’estero. Questo ci permette, tra l’altro, di fornire all’UE le prove richieste per ridurre le infrazioni”.
Pochi fino ad oggi i tentativi di svelare la vera identità delle polveri fini. Ci ha provato la Spagna, utilizzando un metodo di misura di tipo statistico e non sperimentale. “Siamo stati noi i primi in Europa”, ribadisce il chimico barese. “Ci siamo serviti di tanti strumenti già esistenti e li abbiamo integrati. L’idea vera è l’assemblaggio”.
Il prototipo realizzato dai ricercatori adesso si trova a Bari nel Dipartimento di Chimica ed è già richiestissimo da varie regioni italiane per misurare le polveri. Adesso è in partenza per Taranto dove avrà il compito di svelare la provenienza del benzoapirene.
Le applicazioni
La scoperta dei ricercatori pugliesi ha svariate applicazioni. Serve ad individuare le sabbie sahariane e in generale i trasporti transfrontalieri; intercetta la produzione di benzopirene nelle aree industriali; dimostra che l’Italia è divisa in due per le polveri fini, più leggere e pericolose al Nord, più grosse ma meno pericolose al Sud e che quindi è sbagliato misurare con lo stesso criterio le polveri fini al Nord e al Sud; permette le misurazioni su microaree per pianificare azioni come il blocco del traffico; individua zone più ampie di misurazione attraverso l’uso del satellite.
Tante le ricadute del progetto sul territorio. Il laboratorio dell’Università di Bari oggi è uno dei più importanti in Italia per le strumentazioni implementate, la stessa Puglia è diventata la regione di riferimento per la misurazione delle particelle in atmosfera. Qui infatti sono state organizzate tre scuole nazionali e la prima scuola nazionale della IAS (Italian Aerosol Society) oltre ad essere stato pubblicato il volume “Particelle in atmosfera. Conosciamole meglio”.
I protagonisti
Il progetto strategico (il suo nome per intero è SIMPA, Sistema Integrato per il Monitoraggio del Particolato Atmosferico), coordinato dal Dipartimento di Chimica dell’Università di Bari, ha visto il coinvolgimento di due Unità di Ricerca e di due imprese. In particolare:
Unità di Ricerca 1: Dipartimento di Chimica, Università di Bari;
Responsabile Scientifico: dott. Gianluigi de Gennaro / prof. Maurizio Caselli;
Staff: Martino Amodio, Eleonora Andriani, Isabella Cafagna, Paolo R. Dambruoso, Barbara E. Daresta, Annamaria Demarinis Loiotile, Alessia Di Gilio, Pierina Ielpo, Miriam Intini, Annalisa Marzocca, Jolanda Palmisani, Claudia M. Placentino, Livia Trizio, Maria Tutino;
Unità di Ricerca 2: Dipartimento di Fisica, Università del Salento;
Responsabile Scientifico: prof.ssa Maria Rita Perrone;
Staff del Dipartimento di Fisica, Università del Salento: Ilaria Carofalo, Ferdinando De Tomasi, Adelaide Dinoi, Gianandrea Mannarini, Anna Tafuro;
Staff del Dipartimento di Scienza dei Materiali, Università del Salento: Riccardo Buccolieri, Silvana Di Sabatino, Laura S. Leo.
Hanno inoltre partecipato al progetto FAI Instruments s.r.l, azienda italiana leader nello sviluppo di strumentazione per il rilevamento e la misura dell’inquinamento atmosferico e LEnviroS s.r.l, società spin off dell’Università di Bari che fornisce servizi ambientali ad alto contenuto scientifico.