Diciamoci la verità. Gliel’hanno fatta pagare. Galileo non c’entra affatto. La vera colpa, se di colpa si può parlare, del professor Joseph Ratzinger, salito al soglio pontificio col nome di Benedetto XVI, è quella di voler sfilare “la ragione” ai laici illuministi, per farne pietra angolare a sostegno della fede.
Una raffinata e certosina azione ai fianchi del pensiero liberale, per fagocitarne il simbolo più intangibile e metterlo laicamente al servizio del credo religioso in senso lato. Evitando che gli eccessi di fede, senza il sostegno della ragione, possano prendere la deriva integralista.
Accecati da una rabbia impotente, di fronte alla disarmante azione del teologo tedesco, i sacerdoti laici della Sapienza hanno peccato di eccesso di razionalità. Smarrito il lume della ragione, si sono persi nella confusione scientifica di calcoli e formule, riversati sulle lavagne scorrevoli delle loro aule. E, dimenticando il giuramento di Voltaire, hanno dato vita all’invenzione del pasticcio più grande del secolo.
Ezio Mauro ha parlato di cortocircuito: “Dove il gesto ha prevalso sul pensiero e la laicità si è ridotta ad una cupa caricatura di se stessa. Preoccupandosi di limitare e restringere il perimetro dell’espressione invece di ampliarlo, garantendolo per tutti”. Il salvavita non è scattato. Il Papa defilandosi ha lasciato tutti di fronte alle proprie responsabilità, di fronte alle proprie ragioni, che sono cosa ben diversa dal rivendicato primato della Ragione.
Col passo falso della Sapienza, la “casta” dei tocchi e degli ermellini universitari italiani decide di auto-svalutarsi, di riconoscersi più nelle lauree honoris causa ai Valentino Rossi, Renzo Arbore e Mike Buongiorno (per carità non me ne vogliano), anziché difendere col valore del coraggio e della forza intellettuale la sacralità della Palestra del confronto del pensiero.
di Antonio V. Gelormini