E’ l’eredità più preziosa affidataci da una generazione provata dalle lacerazioni e dalle tragedie della Seconda Guerra Mondiale, vissute sulla propria pelle, e forse proprio per questo capace di un significativo slancio unitario, carico di umiltà e di profonda solidarietà. Una fonte normativa in grado di garantire le regole fondamentali del vivere comune, avendo deciso di portare al centro della titolarità dei diritti la persona umana e la sua dignità. Ed enunciando, al contempo, i limiti del potere costituito.
 
Valerio Onida, Presidente emerito della Corte Costituzionale, nel suo saggio breve La Costitituzione edito da Il Mulino, 2004 ci ricorda che: “Nelle civiltà umane le leggi scritte si rivolgono dapprima e essenzialmente agli individui, ai soggetti, ai sudditi di coloro che esercitano l’autorità nella società. Sono l’espressione dell’autorità. Esse stabiliscono gli obblighi dei soggetti e fissano le sanzioni per coloro che li trasgrediscono”. Ma continuando nell’analisi-confronto aggiunge: “ Le moderne Costituzioni, invece, vengono scritte per fissare i limiti al potere di chi comanda, per definire le condizioni e i modi in cui l’autorità deve essere esercitata e per fissare i diritti dei soggetti nei confronti dell’autorità, che non può legalmente violarli”.
 
E’ stata definita una Costituzione presbite, per aver saputo guardare non troppo ai problemi immediati, quanto fissare il quadro dei principi di fondo idonei a supportare e guidare nel lungo termine il cammino dell’Italia. “Un Paese”, come ha detto Carlo Azeglio Ciampi “che si sente uno e cento. Ma sa anche di essere uno e indivisibile”.
 
Una Carta dei valori, che senza rinunciare ai più intimi legami cristiani dei suoi cittadini ha saputo dar corpo al grande “compromesso”, che dette vita ad un ordinamento giuridico “fondato sul lavoro” (art. 1 della Costituzione). Non certo quale parametro astratto, bensì come valore costituzionale essenziale. Il “fondamento” sul lavoro, sempre secondo V. Onida, sta ad indicare il valore che la Repubblica attribuisce all’apporto del lavoro di ciascuno (secondo le proprie capacità e le proprie scelte – art. 4), in luogo di altri fattori in passato determinanti, come la nobiltà di nascita o di ricchezza, ai fini del ruolo sociale dell’individuo.
 
Un modello legislativo coevo della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (proclamata dall’Onu nel 1948), suscettibile nei suoi risvolti materiali di opportuni aggiornamenti e di pratici miglioramenti, ma che andrebbe ulteriormente rafforzata nella difesa della salvaguardia dei suoi principi fondamentali. Con l’auspicata modifica dell’art. 138, che prevedesse un quorum dei due terzi per la revisione della Costituzione, per garantire alle riforme costituzionali la massima condivisione di intervento, lontana da ogni interesse contingente di parte.
 
Sono solo i primi 60 anni. La carica di modernità è tale da garantirne celebrazioni centenarie nei secoli dei secoli. Auguri orgogliosi. E che anche l’Europa sappia giovarsene.
 
di Antonio V. Gelormini

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