Di open data si parla molto, ma si sa ancora troppo poco: il dato emerge dall’indagine “Open data: l’Italia s’è desta?”, condotta da FORUM PA attraverso un questionario on line inviato agli iscritti alla propria community. Si tratta non di un campione rappresentativo ma di un panel qualificato che quindi, a maggior ragione, dovrebbe essere informato su questi temi. Invece, su 1.574 interviste valide raccolte tra il 15 e il 24 febbraio (il 74% delle quali arrivate da persone appartenenti al settore pubblico), solo il 7% dichiara di avere una conoscenza approfondita del tema, appena il 28% buona, il 39% sufficiente e il 26% addirittura scarsa. Solo il 30% conosce amministrazioni che hanno avviato iniziative di diffusione di open data e solo il 14% soluzioni o servizi realizzati a partire dall’utilizzo di open data.
“Questi risultati confermano la necessità di continuare su una strada che FORUM PA ha avviato già da tempo: promuovere e favorire occasioni di confronto ed iniziative di divulgazione e formazione su temi così importanti per la crescita dell’Italia”, sottolinea Gianni Dominici, Direttore Generale di FORUM PA, commentando i risultati dell’indagine, che sono disponibili on line sul sito di FORUM PA.
Ecco una breve sintesi dei risultati.
L’open data è…principalmente un tema culturale, secondo il nostro Panel. Non sono, quindi, gli aspetti tecnici a balzare in primo piano, ma semmai quelli legati alla maturità di approccio nei confronti di un argomento relativamente nuovo.
Open data e sviluppo. I partecipanti al Panel sono in larga maggioranza fiduciosi rispetto al ruolo che la diffusione degli open data potrebbe avere nel favorire lo sviluppo economico e sociale del Paese. Solo il 4% dei rispondenti pensa, infatti, che la loro influenza sarebbe poco rilevante, mentre il 93% la giudica tra abbastanza e molto rilevante. In particolare, viene posto l’accento sulle opportunità che la disponibilità di dati aprirebbe per la creazione di nuovi servizi a valore aggiunto anche da parte dei privati, con relative opportunità di crescita e sviluppo per le imprese. Ben il 46% dei rispondenti ritiene, infatti, che sarebbe questa la conseguenza più rilevante di una diffusa adozione delle strategie open data.
In Italia a che punto siamo? Secondo il nostro Panel l’Italia non ha ancora fatto il salto di qualità verso una progressiva e generalizzata applicazione delle strategie open data: siamo in una fase di discussione e approfondimento (per il 30% dei rispondenti) o al massimo di sperimentazione in alcune realtà (per il 52% dei rispondenti).
Gli ostacoli. Quello che manca è soprattutto una politica nazionale, una visione strategica che valorizzi le diverse iniziative avviate e le inserisca all’interno di un quadro coerente e di un progetto condiviso. Questo aspetto è indicato dal 35% dei rispondenti. A seguire vengono: la resistenza da parte delle amministrazioni ad avviare processi di trasparenza (per il 29% dei rispondenti) e la loro scarsa consapevolezza delle potenzialità degli open data (per il 13%). Solo in quarta posizione si trova la poca familiarità da parte delle amministrazioni con strumenti e tecnologie per la messa a disposizione di open data (11% del Panel).
In definitiva, non si avverte tanto una carenza dal punto di vista tecnologico quanto un problema di maturità e la mancanza di una visione strategica.
Le proposte. Se l’open data viene percepito principalmente come un tema culturale, quello che si chiede alle amministrazioni è proprio di fare un salto di qualità da questo punto di vista. Per il 41% dei rispondenti, infatti, è necessario prima di tutto un processo di formazione “culturale” della PA che aiuti a comprendere le opportunità aperte dalla diffusione degli open data.
A seguire, ma comunque ben distanziati, si collocano l’adozione di una legislazione che regolamenti l’adozione degli open data (19%) e un processo di formazione “tecnica” della PA su strumenti e tecnologie per rendere disponibili (e costantemente aggiornati) i dati in formato aperto (17%). Solo in ultima analisi (11% del Panel) vengono chiamati in causa soggetti diversi dalle amministrazioni e la necessità di un processo di formazione “culturale” anche per i cittadini e le imprese sul tema degli open data.
Sia dalla domanda relativa agli ostacoli che da quella relativa alle proposte, emerge quindi un concetto: la palla sta in mano a chi detiene i dati e deve scegliere se e come metterli a disposizione. Almeno in questa fase, si attribuisce un peso minore ai destinatari: come dire, liberiamo i dati e poi si vedrà se cittadini e imprese hanno la voglia e le capacità di metterli a frutto.
Un dato confermato anche dalle risposte alla domanda esplicita su quali soggetti dovrebbe principalmente farsi carico di promuovere iniziative per la diffusione degli open data: per primo viene indicato il governo centrale (60% del Panel), poi gli enti locali (29%) e solo in minime percentuali la società civile (associazioni di cittadini e imprese).