Ieri, presso la sala Conte Biancamano del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, è stata presentata alla stampa HPP Italia. L’azienda, che ha sede a Traversetolo, nella Food Valley parmense, è la prima realtà imprenditoriale nel nostro Paese a offrire, in modo specialistico e dedicato, il servizio di trattamento degli alimenti con il metodo HPP – High Pressure Processing.
HPP Italia nasce con la mission di aiutare le aziende del mondo food & beverage a sfruttare la tecnologia delle alte pressioni: un metodo già ampiamente diffuso negli Stati Uniti, che ha il vantaggio di fornire prodotti alimentari che mantengono inalterate le proprie caratteristiche organolettiche, in termini di profumo, colore, consistenza e sapore, e le proprietà nutritive e, che, al contempo, rappresentano il massimo in materia di sicurezza alimentare e hanno una shelf life notevolmente più lunga.
Per l’industria alimentare italiana, quindi, adottare il metodo HPP significa soddisfare le esigenze di consumatori sempre più evoluti e attenti alla qualità e alla salubrità di ciò che mangiano, garantirsi una maggiore brand protection e aprirsi nuovi orizzonti di business. Per un’azienda food italiana fortemente vocata all’internazionalizzazione, la tecnologia delle alte pressioni può essere lo strumento ideale per risolvere il problema dei rigidi vincoli sanitari imposti da alcuni Paesi sull’esportazione di prodotti alimentari: si pensi, ad esempio, alle problematiche legate a listeria e salmonella.
HPP Italia è in grado di utilizzare l’innovativo trattamento HPP su molti alimenti, sia solidi che liquidi: salumi, prodotti lattiero-caseari, pesce, prodotti gastronomici RTE (Ready-to-Eat), succhi e polpe di frutta, passate di pomodoro, salse e altro.
A presentare questo nuovo, ambizioso progetto è stato il CEO Giulio Gherri, che ha un solido background imprenditoriale legato al mondo dei salumi, essendo anche Amministratore Delegato del prosciuttificio San Michele – Terre Ducali. «HPP Italia nasce in risposta all’esigenza specifica dell’azienda di famiglia di trovare un sistema di pastorizzazione a freddo e di sterilizzazione adatto al Prosciutto di Parma DOP, come per altri salumi a più breve stagionatura, per garantirci nuove opportunità di business legate all’internazionalizzazione – spiega Giulio Gherri. – Una sfida complessa, perché parliamo di un prodotto alimentare molto denso, secco, di dimensioni relativamente grandi, non facile da trattare dopo il confezionamento evitando problemi come la perdita di consistenza o la genesi di odori sgradevoli».
«Dopo una serie di test – continua Giulio Gherri – i nostri ricercatori sono giunti alla conclusione che il metodo migliore è quello rappresentato dalle alte pressioni idrostatiche. Di qui l’idea di creare uno spin-off aziendale dedicato all’offerta di questo servizio, di cui possano beneficiare altri imprenditori del mondo food & beverage».
L’intervento del CEO di HPP Italia è stato corroborato dai risultati di uno studio condotto da IZSLER – Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna. A presentarlo è stato il dr. Giuseppe Merialdi, Dirigente Responsabile delle Sezione di Bologna: «Abbiamo condotto una sperimentazione su prodotti di salumeria italiana destinati anche all’esportazione negli Usa, per valutare gli effetti del trattamento atermico HPP sul rischio di contaminazione da Listeria monocytogens».
Si tratta di un batterio molto resistente alle condizioni ambientali, responsabile della listeriosi: una patologia pericolosa, in particolare, per le donne incinte – in quanto può portare all’aborto, a decessi intrauterini o alla nascita di bambini con setticemia o soggetti allo sviluppo di meningite -, per gli anziani e per le persone con sistema immunitario compromesso. Per i prodotti alimentari destinati al mercato americano deve essere garantita l’assenza totale di contaminazione. «I risultati dell’applicazione della tecnologia delle alte pressioni sono stati molto promettenti – conclude il dr. Merialdi – con un significativo abbattimento della contaminazione superficiale e profonda da Listeria».
Partner di Giulio Gherri nel progetto HPP Italia è Massimo Monti, CEO di Foods Import, azienda nata nel 1903 e specializzata nella commercializzazione di baccalà e stoccafisso. «Da alcuni anni abbiamo intrapreso la strada delle alte pressioni. Una scelta dettata da una duplice necessità: da un lato, soddisfare le esigenze di un consumatore che chiede prodotti alimentari privi di conservanti, pratici, caratterizzati da un elevato contenuto di servizio e facili da utilizzare. Dall’altro, offrire al mercato un baccalà pronto da cucinare, già reidratato, con una scadenza sufficientemente lunga».
«Il ricorso al metodo HPP – continua Massimo Monti – ci ha permesso di ottenere un prodotto privo di conservanti, dal contenuto salino molto basso e dalle cariche batteriche abbattute, con una scadenza 10 volte più lunga rispetto al pesce non trattato. Ora il consumatore può conservare in frigorifero per 30 giorni un filetto di baccalà: quando ha voglia di mangiarlo, non deve più attendere tre giorni per ammollare il prodotto. Basta aprire la confezione, sciacquarne il contenuto sotto acqua fredda e cucinare il tutto. Grazie alla tecnologia delle alte pressioni abbiamo poi allargato il campo di commerciabilità dei nostri prodotti a tutto il territorio italiano e anche ad alcuni Paesi confinanti».
A garantire l’unicità e l’efficacia del trattamento dei prodotti alimentari con la modalità dell’alta pressione che HPP Italia offre alle industrie food & beverage è la collaborazione tecnologica con Avure Technologies. Con un’esperienza di oltre cinquant’anni, la statunitense Avure Technologies detiene la leadership globale nella tecnologia delle alte pressioni applicata ai settori food e meccanico. Sono oltre 1.700 i sistemi ad alta pressione installati da Avure Technologies in tutto il mondo.
Con questa azienda, HPP Italia ha siglato un accordo di collaborazione in esclusiva: ciò ha portato all’installazione nel plant di Traversetolo di una macchina top di gamma, per un investimento superiore a due milioni di euro. Grazie alla profonda conoscenza delle normative del mercato americano – in termini di sicurezza alimentare, rischi di contaminazione da batteri e shelf life – propria di Avure Technologies, HPP Italia è inoltre in grado di offrire un servizio specializzato ai propri clienti interessati a esportare Oltreoceano.
Intervenendo alla conferenza stampa al Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, Tim Hunter, Marketing Manager Avure Technologies ha spiegato che: «Da molti anni lavoriamo allo sviluppo della tecnologia delle alte pressioni. Inoltre siamo impegnati a educare su questo tema e a lavorare in sinergia con realtà con la FDA – Food and Drug Administration, l’Ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici. Oggi l’FDA ha compreso l’importanza del metodo HPP e lo considera un’ottima soluzione per garantire la sicurezza alimentare dei cibi, per preservarne le proprietà nutritive, eliminare il ricorso a conservanti e incrementare la shelf life».
«Oggi, negli Usa, il trattamento degli alimenti con le alte pressioni è una pratica largamente accettata nel mondo retail – ha aggiunto Glenn Hewson, HPP Retail Consultant – Per un retailer, scegliere il metodo HPP significa offrire al proprio consumatore un prodotto migliore in termini di qualità e di sicurezza alimentare, ridurre gli sprechi e ampliare la distribuzione a una rete molto più ampia di punti vendita».
Nel corso della conferenza stampa, il tema del trattamento ad alte pressioni degli alimenti è stato sviluppato anche secondo una prospettiva scientifica. Il prof. Gianni Galaverna, Università degli Studi di Parma – Dipartimento di Scienze degli Alimenti, ha illustrato alcuni esempi concreti di applicazione delle alte pressioni, soffermandosi, in particolare, sugli effetti sul mantenimento del valore nutrizionale e degli aspetti organolettici degli alimenti. Lo stesso prof. Galaverna ha descritto alcuni possibili impieghi innovativi del metodo HPP per l’ottenimento di prodotti con nuove caratteristiche, ad esempio in termini di consistenza, o per il recupero e l’estrazione di componenti bioattive da fonti naturali. «Rispetto ai più diffusi trattamenti termici di pastorizzazione e sterilizzazione per rendere inattivi microrganismi ed enzimi indesiderati – ha concluso il suo intervento il prof. Galaverna – il trattamento ad alte pressioni degli alimenti risulta più efficace nel preservare gli aspetti organolettici e nutrizionali che sono normalmente affetti dai processi termici».
Il dr. Pierpaolo Rovere, tecnologo alimentare del Parco Agroalimentare di San Daniele, ha invece voluto ricordare il ruolo italiano nel campo della ricerca scientifica in materia di HPP. Un primato, che, almeno finora, non era stato tradotto in applicazioni concrete, secondo una prospettiva business. Spiega il dr. Rovere, «Di HPP si parlava già nel 1899: quell’anno lo statunitense Hite applicò questa tecnologia per pastorizzare il latte, preservandone le proprietà nutritive. Ma è soltanto a partire dagli anni Novanta del XX secolo che appaiono sul mercato, più precisamente in Giappone, i primi alimenti così trattati. A partire dal 1992 noi italiani abbiamo contribuito a sviluppare questa tecnologia: abbiamo spinto verso i sistemi commerciali orizzontali, abbiamo dimostrato che con il metodo HPP è possibile inattivare il botulino e i prioni e che il controllo delle temperature di processo è fondamentale, abbiamo prodotto il primo campione di ragù di carne sterilizzato, stabile a temperatura ambiente, con le alte pressioni e così abbiamo mandato i primi prodotti HPP sulla Stazione Spaziale con la MIR, per un test di gradimento».
«Le alte pressioni – conclude il dr. Rovere – sono un esempio di come una tecnologia sviluppata nel nostro Paese, con forti investimenti in ricerca sia di base che pre-competitiva, abbia paradossalmente trovato credito all’estero. Oggi, a distanza di 20 anni, c’è chi guarda al futuro industriale del nostro Paese con fiducia. Il concreto sviluppo che viene presentato oggi ne è un esempio ed è quanto tutti noi ricercatori per anni abbiamo creduto».