Una settimana itinerante per le campagne della Daunia, per toccare con mano le condizioni di lavoro dei braccianti nel periodo della raccolta del pomodoro e per offrire loro informazioni su tutele e diritti. La FLAI CGIL di Capitanata ripropone anche nel 2010 l’iniziativa “Diritti in campo”, dopo la straordinaria esperienza dello scorso anno di “Oro rosso” con le Cgil e Flai nazionali, regionali e territoriali.
Ventimila ettari e 20 milioni di quintali di produzione, queste le cifre del business pomodoro in provincia di Foggia, col suo carico di lavoro nero e sfruttato, diritti violati, condizioni di vita indegne per i braccianti immigrati. “Soprattutto sul fronte dell’accoglienza, purtroppo, registriamo che poco o nulla è cambiato nel corso degli anni – commenta Daniele Calamita, segretario generale della Flai di Capitanata -. Merito alla Regione Puglia per avere attivato dei presìdi nel territorio per la fornitura di assistenza e acqua potabile, così come è importante l’esperienza degli alberghi diffusi: ma parliamo di soli 200 posti letto per lavoratori regolari, a fronte dei migliaia – regolari e non – che arrivano in questa provincia d’estate”.
I braccianti censiti negli elenchi Inps sono 16mila, “anche se solo il 30 per cento per oltre 51 giornate, limite minimo per aver diritto all’indennità di disoccupazione. E’ evidente che grazie alle denunce dei media e ai controlli emergono sempre più le posizioni dei lavoratori, ma spesso sono per poche giornate, giusto una foglia di fico in caso di verifiche”. Proprio le condizioni estreme di lavoro e accoglienza risultano essere un deterrente “in quanto stiamo verificando una presenza minore rispetto agli altri anni. Conseguenza anche della crescente raccolta meccanizzata e delle ‘minacce’ dagli agricoltori di pagare ancor meno la manodopera a seguito del taglio alle fiscalizzazioni degli oneri contributivi deciso dal Governo”.
Per la FLAI sconfiggere il lavoro nero, “o almeno arginarlo è possibile, basta volerlo”. L’appello è alle istituzioni. “Lo diciamo da tempo – spiega Calamita -, basterebbe applicare l’innovativa legge regionale voluta dal Governo Vendola che stabilisce degli indici di congruità per coltura ed estensione: come si fa a raccogliere il pomodoro in un campo di 100 ettari con due lavoratori registrati?”. Il limite è che la norma non trova piena applicazione “per l’opposizione delle associazioni datoriali”.
Nell’attesa, “basterebbe che l’Inps applicasse le tabelle di ettaro-coltura anche per verificare il lavoro nero, mentre oggi la stessa procedura viene utilizzata per evitare truffe all’istituto, ovvero per bloccare le prestazioni quando un’azienda registra posizioni lavorative in esubero rispetto agli ettari e alle produzioni dichiarate”.
Altra esigenza per estirpare il fenomeno dello sfruttamento “è quella di avere controlli mirati, necessari in una provincia molto estesa come la nostra e con organici sempre carenti. Se ci sono imprese che fanno richiesta di lavoratori stagionali, la legge Bossi-Fini impone loro di farsi carico di vitto e alloggio. Ecco, le prime verifiche andrebbero fatte lì, per vedere se c’è il rispetto delle norme, se si è provveduto a prestare un’adeguata e dignitosa accoglienza, non in stalle e ruderi abbandonati”.
Infine, “le forze dell’ordine potrebbero richiedere alle industrie di trasformazione del pomodoro gli elenchi di conferimento del prodotto, i nominativi e i periodi per singola azienda agricola, intervenendo quando è prevista la raccolta. Sarebbe un primo segnale, un aggredire in maniera intelligente il fenomeno dello sfruttamento. Perché non lo si fa?”.