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Un triplo salto mortale che, viste le performance medianiche inanellate nei mesi precedenti, avrebbe messo a dura prova la tenuta della compagine governativa in un passaggio così delicato. Per una volta sono riusciti a far tesoro del savoir faire berlusconiano e hanno adattato la strategia all’obiettivo fissato. Proviamo solo ad immaginare, senza l’attesa per il levarsi del sipario al Lingotto, in che tipo di tritacarne si sarebbero trovati Presidente del Consiglio e Governo, alle prese con le pillole amare da far ingoiare a sindacato e forze politiche più radicali.
Gli stessi dirigenti sindacali, a cui preme forse più di altri raggiungere un accordo, sanno anche che le decisioni mediate al tavolo delle trattative non avranno vita facile, quando saranno calate alle rispettive basi associative. Attese, delusioni e bizantinismi hanno esasperato molti animi e la diffidenza regna sovrana. Ne è testimonianza l’ennesimo stop and go della scorsa notte, che costringerà le segreterie a riunire i direttivi in tutta fretta, per avallare il passo finale di una negoziazione necessaria, che alla fine potrebbe non accontentare nessuno.
L’altro rischio è che si possa aver caricato di eccessive attese l’intervento di Walter Veltroni a Torino, descritto nelle ultime ore come una sorta di oracolo di Delfi. E che si possa pensare di scaricare sulla scelta personale di un solo leader, gran parte delle responsabilità decisionali proprie della classe dirigente. Considerata nelle sue diverse individualità e nella sua più intrinseca collegialità. Sarebbe il peggior modo di cominciare, anzi di fallire prima ancora di cominciare.
di Antonio V. Gelormini