Ecco la lettera inviata a Mario Draghi dalla Stilmarmo di Apricena a firma di Alfonso Masselli:

“All’Ill.mo Signor Presidente del Consiglio dei Ministri,
Prof. Mario Draghi
It can be done, it has to be done
(Può essere fatto, deve essere fatto)

Illustrissimo Signor Presidente,
nella consapevole convinzione che, ora più che mai, il nostro Paese abbisogna di un dialogo diretto,
costante e costruttivo tra le Istituzioni e le Piccole e Medie Imprese (ovvero la “spina dorsale dell’economia italiana”: tale categoria rappresenta, infatti, il 99,9% delle imprese della penisola, l’80% dell’occupazione e il 67% del valore aggiunto, tra le quote maggiori dell’area Ocse), chiamate a cooperare sinergicamente nella rapida ricostruzione del tessuto socio-economico nazionale, pesantemente martoriato dalla emergenza sanitaria tuttora in corso, ci premuriamo sottoporLe alcuni “temi”, per troppo tempo disattesi o passati sotto silenzio e che auspichiamo possano ora trovare il giusto spazio nel “Piano Nazionale di Resilienza e Rilancio” dell’economia italiana e, quindi, del Sud d’Italia.

Nello scorso gennaio, autorevoli osservatori del mondo accademico manifestarono enormi perplessità
sulla bozza del “Recovery Plan” italiano, evidenziandone numerose criticità, tra cui il forte “front loading” sugli investimenti già realizzati. Spiegava il Prof. Carlo Altomonte (docente di Politica economica europea dell’Università Bocconi di Milano) che a Bruxelles potrebbe non piacere il fatto che quasi un terzo dei 209 miliardi di euro messi a disposizione dell’Italia vadano a finanziare iniziative già avviate e/o in cantiere, sottolineando come «il “Recovery Fund” deve servire a fornire la struttura per riprendere la strada della crescita resa impossibile dal Covid, non a finanziare progetti che dovevano avere coperture diverse e su cui aleggia lo spettro della solita logica del breve termine».

In buona sostanza, occorre che l’Italia sappia esprimere una nuova e concreta “vision” di politica
industriale di lungo termine, che sia anche in grado di spingere l’arrivo di fondi privati a leva.
Non è, dunque, un tema di risorse, ma di capacità del nostro Paese di usarle e di usarle in maniera
efficace. Se ai 209 miliardi di euro del “Recovery Plan” aggiungiamo i fondi Bei, Sure e quelli strutturali, l’Italia avrebbe a disposizione ben oltre 400 miliardi di euro per rinascere post Covid.
A tal riguardo, non possiamo non evidenziare che il nostro Paese ha perso la capacità di investire
nell’industria mineraria in generale ed in quella estrattiva in particolare. Ne è indice rivelatore il fatto che la legge quadro nazionale, in materia di risorse minerarie, risale al 1927 (il Regio Decreto n. 1443).
Negli ultimi cento anni, l’Italia ha cambiato forma di Stato e di governo, si è dotata di una nuova legge
fondamentale, ha legiferato più e più volte in tutti i settori economici, eccetto che in quello minerario, il cui archetipo legislativo è rimasto tal quale a distanza di un secolo, incredibilmente sopravvissuto ad ogni cambiamento epocale.
In Ungheria, per fare un esempio, dal 2011, le risorse minerarie rivestono un ruolo di primo piano
nella pianificazione delle linee strategiche dell’economia nazionale.

E in Italia?
L’Unione europea, per il suo sviluppo, ha individuato 14 materie prime strategiche e tra queste, quelle
maggiori, stanno sotto i nostri piedi: i “marmi” e le “pietre ornamentali”, di cui il bacino marmifero di Carrara (MS) e quello di Apricena (FG) rappresentano la maggiore “espressione” della natura.
Disponiamo, insomma, di straordinarie “risorse”. Abbiamo competenze e professionalità. Ma non
bastano.
Occorre che il nostro Paese ripensi velocemente la propria politica economica, industriale e,
soprattutto, culturale. Il “Recovery Plan” rappresenta il momento giusto per farlo e la sede più opportuna per assegnare ai “marmi” e alle “pietre ornamentali” un ruolo strategico nell’economia nazionale.
Sono risorse “naturali”, “green” dalle origini. Non è necessario utilizzare fonti primarie di energia per
la loro produzione: i “marmi” e le “pietre ornamentali” sono semplicemente sotto i nostri piedi. Vanno
soltanto estratti e poi lavorati. La loro durata è senza compromessi e senza pari. Lo testimonia la storia millenaria.
Per uscire dalla crisi, come non pensare, dunque, di puntare su queste straordinarie “risorse” naturali?
Ciò potrebbe costituire la terza rivoluzione industriale, se soltanto si considerasse che anche gli
“scarti” di estrazione e lavorazione non sono “rifiuti” ma “materia prima secondaria”. Si pensi all’uso
tradizionale della “polvere di marmo” come additivo per dentifrici. Secondo gli scienziati, la “farina di pietra” potrebbe anche essere utilizzata come riempitivo per asfalto, cemento, gesso e molto altro. Ma nessuna di queste possibilità ha ancora raggiunto una svolta di mercato, per mancanza di adeguate politiche di sostegno a queste “nuove” economie circolari.

L’Unione europea, dallo scorso decennio, sta puntando molto sullo sfruttamento delle risorse
minerarie. Non a caso, l’Università ungherese di Miskolc, Facoltà di Scienze della Terra e Ingegneria, ha strategicamente istituito il progetto di ricerca CriticE1 (ricerca di base sullo sfruttamento del potenziale nazionale di sviluppo economico delle materie prime essenziali). Il progetto è co-finanziato dall’Unione europea e dal governo ungherese.
Cosa può, dunque, fare al riguardo il nostro Governo nell’immediatezza? Tantissimo.
Inserendo i “marmi” e le “pietre ornamentali” d’Italia nel “Piano strategico di resilienza e rilancio
nazionale”, si creerebbero le premesse per intraprendere la strada di una crescita economica di lungo termine.

In che modo?
Innanzitutto, tutelando legislativamente le nostre “pietre naturali” dalla concorrenza sempre più
crescente di “prodotti ceramici”, che riproducono ormai fedelmente i nostri “marmi” pur non avendo nulla di marmo e che vengono addirittura commercializzati utilizzando impropriamente i nomi delle nostre “pietre naturali”.
Se non tuteliamo i nostri materiali, complice la crisi in atto, le cave ed i laboratori di lavorazione pietre
e marmi saranno costretti a ridurre drasticamente il numero degli addetti se non a chiudere i battenti.
I territori interessati perderebbero così altri posti di lavoro diretti e nell’indotto, in un drammatico
momento storico.
I prodotti non agricoli meritevoli di tutela costituiscono un rilevante potenziale economico, che oggi
non possiamo sfruttare appieno.

L’estensione, ad esempio, di protezione di IG (Indicazioni Geografiche) a tali prodotti porterebbe un
notevole vantaggio potenziale per le PMI coinvolte ed un contributo significativo all’occupazione e alla
crescita economica dei territori interessati.
Per far recuperare quel necessario vantaggio competitivo alle nostre “pietre naturali” in un mercato
globalizzato fatto di costi del lavoro disomogenei, occorre intervenire, al più presto, sovvenendo l’industria estrattiva italiana e quella della loro lavorazione “in loco” con misure di sostegno ad hoc (ad esempio, prevedendo contributi a fondo perduto e/o crediti d’imposta in conto costi di sbancamento di cava, macchinari, attrezzature e mezzi d’opera nonché a valere sulla promozione e diffusione in tutto il mondo delle nostre “meraviglie” naturali; incentivando, all’uopo, sinergie tra le PMI del settore e le Università italiane; introducendo, altresì, il “gasolio marmifero”, al pari del “gasolio agricolo” e di quello “nautico”).
E non ultimo, istituendo forme tecniche di credito specializzato.
I “marmi” e le “pietre ornamentali” rappresentano la maggiore risorsa del sottosuolo italiano e
contribuiscono al PIL nazionale per un valore di poco superiore all’1%. Un valore di tutto rispetto, che
legittimerebbe una maggiore attenzione del mondo creditizio attraverso l’istituzione di forme tecniche di credito specializzato, costruite “su misura” in funzione delle peculiarità del suo processo estrattivo
(caratterizzato da consistenti investimenti iniziali in sbancamento di strati sterili per la successiva messa in produzione del giacimento utile), che oggettivamente necessita di periodi di preammortamento finanziario molto più lunghi rispetto a quelli comuni.
Manca, nel nostro sistema, il “credito estrattivo-marmifero”, essendoci, viceversa, il “credito agrario”,
il “credito peschereccio” e quello “edilizio”.
Eppure è nella nostra tradizione millenaria dedicare attenzioni “specifiche” alle attività economiche
“strategiche” con forme “particolari” di finanziamento. Si pensi al “fenus nauticum” o “pecunia traiecticia”  (“prestito marittimo”), definito dal Guarino, nel suo celebre trattato di “Diritto privato romano”, come quella particolare forma di finanziamento che “aveva luogo quando taluno prestasse una somma di denaro ad un armatore di una nave affinché questi la utilizzasse oltremare o la impiegasse per l’acquisto di merci da trasportare oltremare o per l’acquisto di materiali e attrezzi della navigazione”, caratterizzato da un periodo di preammortamento finanziario che terminava col giungere della nave in porto.
Negli anni successivi alla “Grande Crisi” del 1929, e precisamente a partire dalla primavera del 1935,
il sistema bancario italiano si occupò specificamente del settore marmifero (limitatamente al bacino
carrarese), attuandone una profonda e strategica riorganizzazione per mano della BNL in accordo con l’allora Montecatini, con la quale costituì perfino una società ad hoc (la “Società Anonima Marmi d’Italia”), senza tuttavia neppure abbozzare il vero “salto di qualità” nella direzione sopra indicata.
L’istituzione di “forme tecniche di credito specializzato” rappresenta – oggi più di allora, essendo
ormai “globale” il contesto in cui siamo destinati ad operare – la condizione necessaria ed indispensabile per dare effettivo slancio ad un settore “strategico” qual è quello estrattivo-marmifero.
La “Grande Crisi” che stiamo vivendo, tra forti spinte innovatrici globali e residue resistenze
domestiche, potrebbe esserne l’occasione giusta per scrivere (insieme) una rivoluzionaria pagina del
“cambiamento necessario”.
La scrivente Società si rende disponibile, sin da ora, ad offrire al Governo italiano la propria
trentennale esperienza nel settore di riferimento, per come sintetizzata nella “scheda azienda” allegata.

Con stima ed ossequio,
ALFONSO MASSELLI”