Tecnologie per innovazione produttiva, finanza agevolata, economia circolare e energy management sono tra le competenze ritenute più rilevanti nella transizione ESG
Milano – La transizione sostenibile è nella top tre delle sfide nell’orizzonte delle aziende, insieme al cambiamento tecnologico e all’aumento dei costi di produzione. Per affrontarla, ben 4 imprese su 5 (78%) hanno già intrapreso azioni legate agli obiettivi di sostenibilità.
Non si tratta, però, di una sfida uguale per tutti: varia a seconda della dimensione aziendale, con differenze nel tipo di azioni intraprese, nelle soluzioni organizzative e nelle difficoltà da affrontare, delineando una transizione a due velocità per grandi aziende e PMI. Perché? E che cosa comporta per il mercato del lavoro?
Ad indagare le azioni messe in campo dalle imprese è lo studio “Anticipare il futuro. Le risposte di manager e aziende alla sfida ESG” realizzato da Wyser, il brand globale di Gi Group Holding che si occupa di ricerca e selezione di profili manageriali ed executive, in collaborazione con la società di data intelligence INTWIG Data Management. La ricerca ha raccolto il punto di vista di oltre 300 decision maker italiani – imprenditori, C-Level manager, dirigenti e quadri – rispetto alle sfide poste dalla transizione verso la sostenibilità.
Il report completo è scaricabile a questo link: Anticipare il futuro. Le risposte di manager e aziende alla sfida ESG
“Il 78% dei manager e imprenditori da noi intervistati ritiene che la transizione ESG avrà un impatto significativo sul modello di business della propria azienda – osserva Carlo Caporale, Amministratore delegato di Wyser Italia – Le imprese stanno attraversando una rivoluzione e avvertono la necessità di introdurre nuove competenze e trovare nuove soluzioni organizzative per farvi fronte. Wyser, per via del suo business e dell’appartenenza a un ecosistema internazionale di servizi HR, ha un punto di osservazione privilegiato rispetto al mondo del lavoro e delle evoluzioni di mercato. Questo ci consente di aiutare le organizzazioni a comprendere e addirittura prevedere i cambiamenti per adattarsi rapidamente, che è uno degli aspetti fondamentali della Sostenibilità. Siamo consapevoli che con il nostro lavoro possiamo avere un impatto concreto su un ambito, che fa parte anche del nostro DNA. Per questo abbiamo voluto approfondire il tema della transizione sostenibile con un confronto diretto con le aziende, ascoltandone le esigenze emergenti, che possono essere anche molto differenti sulla base delle caratteristiche e dimensioni di ciascuna”.
Dalla survey emerge, infatti, che il campione delle aziende con oltre cinquanta dipendenti (definito “grandi aziende”) si trova in una fase più avanzata del percorso: l’89% di queste organizzazioni ha intrapreso attività per essere più sostenibile, contro il 68% delle PMI (campione di imprese con meno di cinquanta dipendenti).
E anche guardando alla tipologia di azioni avviate, le grandi aziende dimostrano di avere un approccio che tende a includere più ambiti dell’acronimo ESG (Environment, Social, Governance). Se la maggior parte delle organizzazioni si concentra, infatti, su azioni orientate alla sostenibilità ambientale (46% dei rispondenti), quelle di grandi dimensioni hanno maggiore sensibilità verso l’ambito della sostenibilità sociale (25% del campione, contro il 18% delle PMI).
Il gap tra grandi aziende e PMI nella transizione ESG
Le ragioni del gap sono molteplici. Una prima motivazione è di tipo economico-finanziario. Dallo studio condotto da Wyser emerge infatti che, tra le principali difficoltà che le aziende riscontrano nel percorso verso la sostenibilità, ci sono i costi che la transizione comporta (61%) e la scarsità di risorse finanziare per farvi fronte (41%). Le aziende di piccole dimensioni, meno strutturate e che meno possono contare su economie di scala, sono quelle che faticano di più a far fronte a queste difficoltà, restando più indietro nel percorso di sviluppo sostenibile. Coerentemente, le PMI preferiscono convogliare gli sforzi nell’ambito Environment, ad esempio investendo in soluzioni di efficientamento energetico che, oltre a un beneficio dal punto di vista della sostenibilità, comporta un risparmio dei costi di produzione.
Una seconda ragione riguarda il rispetto dei criteri ESG che è sempre più rilevante nei rapporti con clienti e fornitori (come si evince dal grafico sottostante). Questo accade con una incidenza significativamente maggiore per le aziende con più di cinquanta dipendenti, spesso inserite filiere internazionali: due grandi aziende su tre sono tenute a rispettare i criteri di sostenibilità imposti dai clienti e ben il 74% ha definito regole per la selezione dei fornitori basate anche sul rispetto di criteri ESG.
Alla spinta di filiera si unisce quella della legislazione nazionale e sovranazionale. Da tempo le società quotate sono assoggettate a obblighi di rendicontazione ESG. La direttiva UE 2022/2464 (CSR Directive) in vigore da gennaio 2023 amplierà progressivamente alle grandi aziende non quotate e alle PMI questi obblighi e, contestualmente, aumenterà le informazioni da fornire, includendo la descrizione del modello e della strategia aziendale, gli obiettivi e le politiche in relazione alle tematiche della sostenibilità e l’integrazione degli aspetti ESG lungo la catena del valore.
Oltre che sulla velocità con cui le organizzazioni affrontano la transizione sostenibile, infatti, la dimensione aziendale incide anche sui modelli adottati per la distribuzione delle responsabilità legate a questo percorso. Tra le aziende intervistate, il 40% ha istituito un team ESG, preferendo una gestione centralizzata. Questa soluzione, però, è molto più comune nel campione delle grandi aziende (58%) rispetto a quello delle PMI (25%), che prediligono un modello di responsabilità diffusa (il 65% dei decision maker di aziende fino a cinquanta dipendenti la indica come soluzione preferibile).
Transizione sostenibile: una sfida che si gioca sul piano delle competenze
Indipendentemente dal modello adottato e a qualunque punto della transizione si trovino, le aziende concordano su un dato: è necessario introdurre nuove competenze.
Secondo 4.Manager (Osservatorio Confindustria e Federmanager 2023) entro il 2026, saranno necessari ben 4 milioni di lavoratori con competenze green di alto e medio profilo per soddisfare la crescente domanda del mercato italiano.
Lo studio condotto da Wyser ha approfondito il tema individuando le competenze con un maggiore impatto nel percorso di sviluppo sostenibile. Il 54% dei decision maker intervistati segnala la necessità di nuove competenze tecniche, il 36% la necessità di nuove competenze manageriali. Nel dettaglio, sono indicate come particolarmente rilevanti profili con skill negli ambiti indicati in figura, in ordine di priorità.
“Attrarre le competenze necessarie allo sviluppo sostenibile è, per ogni tipo di azienda, la chiave per governare una transizione di sistema come quella ESG. Si tratta di una sfida complessa e che si svolge su più fronti – conclude Caporale – Da un lato, la scarsità di risorse che caratterizza il mercato del lavoro attuale aumenta la competizione; dall’altro, la velocità dei cambiamenti del contesto economico e sociale rende molto difficile prevedere quali saranno skill e profili necessari nei prossimi anni o addirittura mesi. Per questo, oltre a competenze tecniche e tecnologiche, sarà di importanza strategica individuare figure manageriali in grado di governare il cambiamento e di aumentare la capacità delle aziende di anticipare il futuro.”