Il Festival del Fundraising, giunto alla sua V Edizione, non è solo un luogo di formazione e di networking dedicato a chi fa raccolta fondi ma rappresenta un momento unico nel panorama nazionale per riflettere sulle difficoltà che da anni investono il Terzo Settore.
Il pregiudizio verso il mondo nonprofit è culturale: secondo la ricerca condotta nel 2011 da Philantropy Centro Studi, Università di Bologna, il 76% degli italiani fa una sola domanda prima di donare: “Che percentuale va alla causa?”, mentre solo il 6% si interessa della qualità dei programmi.
Il dato che cattura l’attenzione dell’opinione pubblica, quando si parla di Terzo settore, riguarda i costi fissi di un organizzazione e non i risultati ottenuti. Una nonprofit con spese generali alte non è virtuosa: questo è il ragionamento che prevale in Italia e che impedisce al settore di svilupparsi. “Ci chiedono costi fissi più bassi, stipendi più alti e performance di qualità difficile – afferma Melandri – in un Paese che non agevola le donazioni. Una possibilità potrebbe essere – continua il professore – mettere il nonprofit in condizione di sprecare e spendere meno“.
Partiamo da un dato ormai assodato in qualsiasi attività di raccolta fondi: il costo principale riguarda l’acquisizione di nuovi donatori. Perché? “Mancanza di dati – sottolinea Melandri – in Italia non solo non conosciamo l’identità dei donatori ma non siamo nemmeno in grado di individuare una forte propensione alla donazione”. Questo, è chiaro, consentirebbe di aumentare il livello di risposta su sollecitazione e, conseguentemente, di abbattere i costi del fundraising. “Esistono vari strumenti – continua il docente – che possono aiutare a spingere verso il basso il costo di ricerca del donatore”.
Innanzitutto, perché non conoscere i nomi di chi destina il proprio 5 per mille a una nonprofit? A prescindere dal dato economico, questo permetterebbe alle organizzazioni di costruire una relazione con chi ha scelto di sostenere un ente nonprofit. In Europa, Paesi come la Gran Bretagna, il Portogallo e la Romania rendono noti all’organizzazione beneficiaria l’identità di chi firma per il 5 per mille, perché non farlo anche in Italia?
Un’altra proposta è comunicare il numero di telefono di chi invia sms solidali per aiutare l’organizzazione a contattare più velocemente chi si è dimostrato sensibile a una Buona Causa.
Queste due proposte strutturali, se attuate, aiuterebbero le organizzazioni ad abbassare i propri costi fissi, migliorando la performance degli strumenti di raccolta fondi. Il guadagno non è solo economico: si tratterebbe di un segnale utile a stimolare un cambiamento culturale nei confronti di un settore, che è parte integrante del sistema di Welfare nazionale e non un ente di beneficenza.
A fronte di questa situazione, il pregiudizio e l’ignoranza sul nonprofit derivano sia da una non adeguata educazione che dalla mancanza di dati. Non ci sono ricerche che dimostrino scientificamente l’incidenza del Terzo settore sul benessere, sulla qualità della vita e dei servizi. La scarsità di numeri comporta due significative conseguenze: il non riconoscimento del ruolo e della funzione sociale che le organizzazioni nonprofit svolgono per la società e l’assenza di un reale potere di lobbying sulle istituzioni legislative.
Rimanere nell’ombra significa non aver voce su temi di interesse sociale. “Il nonprofit ha tutti i numeri per poter contare – conclude Melandri – perché nasconderli? “