Le preoccupazioni degli operatori del settore energetico da fonti rinnovabili per le numerose criticità verificatosi, soprattutto nell’ultimo biennio 2009/2010, hanno fatto affermare, più di qualcuno, che siamo al capolinea delle rinnovabili in Capitanata.
Le richieste di connessione alla rete elettrica che attendono troppo tempo o potranno essere difficilmente realizzate, sono decine di migliaia sui tavoli dell’ Enel in Puglia. Troppe per essere soddisfatte tutte. Forse, al massimo, un decimo di queste potrebbe essere sostenuta dalla nostra rete elettrica, non preparata alle numerose domande pervenute.
Le pratiche autorizzative presso Comuni, Provincie e Regioni, che si accumulano sui tavoli con regole sempre più severe e rigide, impiegano troppo tempo per essere completate e spesse volte, si arenano nell’incertezza derivante dai cambiamenti frequenti delle regole del gioco da applicare.
Un immagine collettiva sulle rinnovabili in chiaro/scuro, poiché a fianco di chi ha voluto operare seriamente e con rispetto dell’ambiente, ci sono quelli che, in nome del business più sfrenato, non hanno guardato in faccia a nessuno, tanto meno al territorio; in questo contesto si sono create le condizioni per infiltrazioni della criminalità organizzata.
In questi anni, un processo di colonnizzazione del settore delle rinnovabili sul nostro territorio, collegato soprattutto agli investimenti di società esterne alla nostra provincia, ha ristretto le opportunità di ricchezza e di occupazione, “riempendo molti spazi imprenditoriali ed occupazionali” che, doverosamente, dovevano restare sul territorio ed a favore della popolazione locale.
La Capitanata, con forte vocazione per la produzione di energia da vento, sole e biomasse, ad oggi, non ha acquisito che ,in minima parte, quel potenziale inespresso di occupazione e valore aggiunto che il settore delle rinnovabili poteva e può esprimere.
Ma abbiamo raggiunto, davvero, il capolinea?
Ritengo che sia esattamente l’opposto.
Probabilmente, siamo all’anno zero delle “Rinnovabili” in Capitanata.
Il quadro in cui l’operatore del settore intende operare oggi è, indubbiamente, difficile e lo sarà per diversi mesi ancora, ma a veder bene le cose, sono proprio queste restrizioni che, tra l’altro, erano state chieste da alcuni di noi (compreso chi scrive), che hanno consentito di disincentivare molti “speculatori”, che approfittando di un territorio impreparato ed “ingenuo”, non hanno lasciato che disagio ambientale.
Eppure la “greeneconomy” è un capitolo che, proprio in un momento di grave crisi economico-finanziaria, come quello attuale, ha creato molta ricchezza ed occupazione in diversi Stati: si pensi alla Germania con il suo milione di occupati nella produzione di “energia verde”, fra lavoratori diretti (circa 350.000 persone) ed indotto (circa 600.000/700.000 persone).
Certo, di sbagli ne sono stati commessi parecchi, ma si osservi, con attenzione, a quanto di positivo è avvenuto negli ultimi anni.
Finalmente, sembra che, a livello politico, i punti di vista sulle rinnovabili, si stiano allineando su un idea di sviluppo del settore uguale (si pensi alle linee guida emanate recentemente per l’installazione degli impianti). Si vuole ricordare che, solo fino ad un anno fa, gli scontri fra governo nazionale e regionale erano all’ordine del giorno, sul diverso modo di interpretare questo sviluppo. Oggi, tutti (o quasi tutti) sono d’accordo che è possibile fare bene le cose, creando ricchezza ed occupazione e rispettando il paesaggio. Un esempio di ciò, sono le prese di posizione “corrispondenti” che si trovano nelle affermazioni della Regione Puglia e del Governo nazionale, a
proposito delle distese immense di fotovoltaico sui fondi agricoli.
Infatti, mentre il ministro dell’agricoltura Galan afferma di voler studiare uno “stop” alle sterminate distese di “fotovoltaico industriale” che rovinano il paesaggio e spinge verso un’attività di integrazione del reddito da parte degli agricoltori, aggiungendo che ”l’energia deve essere un nuovo prodotto dell’agricoltura”, il governo regionale, affermando che: “troppi buoi sono entrati in Puglia nel nuovo business dell’energia pulita, con suoli coltivati incendiati ed improvvisamente destinati a nuovo uso”, prepara una nuova regolamentazione, più severa, per gli impianti grossi, oltre il megawatt ed incoraggia il “fotovoltaico su ogni tetto di Europa”.
Analizzando l’altro punto critico, quello della connessione degli impianti alla rete elettrica, ci si accorge che, anche qui, i paletti posti più recentemente dall’ Enel nelle richieste di allaccio (maggiori garanzie e dimostrazione di fattibilità dei progetti), servono per scoraggiare la grande speculazione che aveva originato, tra le altre cose, il “business della compravendita delle domande di connessione”.
Negli ultimi mesi, numerose domande, presentate senza un vero convincimento imprenditoriale sui progetti da realizzare e senza i presupposti minimi, sono “decadute” creando ulteriori “spazi ed opportunità”.
Intanto, si comprende che è assolutamente prioritario creare un “sistema produttivo, professionale, formativo e di ricerca”, che nel suo complesso, all’unisono, sia in grado di favorire gli “investimenti migliori” nelle rinnovabili.
In altri termini, si tratta, oltre che di realizzare impianti produttivi di energia elettrica e termica, di favorire, in loco, la creazione di aziende che producano i manufatti di cui l’industria dell’energia ha bisogno: aerogeneratori, piuttosto che pannelli fotovoltaici (è impressionante che nessuno degli impianti presenti in Capitanata, sia stato prodotto localmente, con gli ovvi benefici occupazionali e reddituali che ciò avrebbe comportato).
Fondamentale, diventa lo sviluppare professionalità varie (progettisti, installatori e manutentori, ecc.), creando specialisti di settore nelle scuole e nelle università. Le banche, dal canto loro, devono essere in grado di supportare i buoni investimenti, così come gli enti territoriali devono essere in grado di alleggerire il peso della burocrazia, ma anche di far rispettare le norme di “integrazioni paesaggistica”.
Questa visione “a sistema” risponde all’esigenza di crescita di un territorio in grave recessione economica, che avviando un interessante ciclo di innovazione-investimento-occupazione, può non solo uscirne fuori, ma ambire a candidarsi fra i principali protagonisti del settore.
Certo, i problemi che si trova davanti, oggi, l’azienda che intende realizzare impianti di produzione da fonti rinnovabili, sono enormi, tanto da allontanare molti investitori che non credono più nel potenziale di questo territorio, ma, ciò ci deve consentire di essere più ottimisti e pensare che, forse, oggi, siamo all’anno zero delle rinnovabili e possiamo ricominciare a pensare ad uno sviluppo più sano, rispettoso ed utile (insomma, più sostenibile ed europeo) delle rinnovabili in Puglia.
Nicola Danza