Ha letto un brano del suo piccolo libro dedicato alla SHOAH, ha saputo interpretare i sussurri con i quali i bambini protagonisti del suo racconto si scambiavano paure, impressioni, sogni. Ha poi proiettato nel silenzio della sala dell\’auditorium della Scuola Media "Padre Pio" le immagini di quei bambini, etichettati sui vestiti con la stella di David e sulla pelle con quegli odiosi numeri di serie che negavano loro qualsiasi identità di persona. Non ha usato le immagini più dure della morte, ha preferito far passare il suo messaggio attraverso quelle immagini in bianco e nero che documentavano la negazione di quei diritti minimi che dovrebbero essere garantiti ad ogni persona e ancor più ad ogni bambino. Ha mostrato una foto, forse quella più toccante di tutta la carrellata, nella quale i bambini erano separati dai loro genitori da una rete fatta di filo spinato e si guardavano senza la possibilità di toccarsi. E a questo punto Anna Baccelliere autrice del libro "Due pugni di terra per un sogno" ha detto a tutti i ragazzi: "Chissà cosa avrebbero fatto quei ragazzi per godere dei propri genitori… Riflettete su questo, ragazzi, riflettete". E\’ stato un incontro vivo quello tra la Baccelliere e i ragazzi della Scuola Media, ma sobrio. Un incontro che ha visto i ragazzi consapevoli della gravità del tema narrato. L\’autrice ha risposto a tutte le domande dei ragazzi, solo ad una ha detto: "Ragazzi mi dispiace, non so proprio come rispondervi, non lo so". E\’ stato quando una ragazza le ha chiesto: "Perchè anche i bambini sono stati coinvolti nella Shoah, nello sterminio ?"... In effetti è così atroce la domanda che la risposta non è nella mente e nei cuori di nessun essere umano che si possa dire tale.
IL LIBRO:
DUE PUGNI DI TERRA PER UN SOGNO
DUE PUGNI DI TERRA PER UN SOGNO
Auschwitz. Baracca I2. Una fredda notte di dicembre. Bambini stipati nei tre piani delle cuccette a castello. Due sorelline, Alma e Hannah che non riescono a dormire. Dopo Rosa Bianca e La Storia di Erika di Roberto Innocenti, dopo Kaddish per i bambini senza figli di Tomas Jelinek, dopo La portinaia Apollonia di Lia Levi, dopo I fiori della tempesta di Claudio Cavalli, per citare solo qualche esempio, Anna Baccelliere, insegnante nelle scuole medie ed autrice di diversi libri per ragazzi, ci consegna un’altra struggente ed emozionante pagina sull’olocausto. Questo Due pugni di terra per un sogno, primo premio al Concorso letterario internazionale di Villanovella del Judrio 2007 è un racconto poetico e intenso, scritto con rigore e leggerezza, da un’autrice che dimostra di avere “orecchie attente e ben sturate, occhi vigili e curiosi, cuore pulsante e ritmico” per cogliere la realtà dell’infanzia, quella che ha vissuto la tragica esperienza dei campi di concentramento nazisti. Letteratura testimonianza quella della Baccelliere, anche se prodotta da una finzione letteraria, importante perché ci aiuta a non dimenticare. Il negazionismo storico fa breccia nella nostra società attraverso l’inquietante voce di alcuni pseudo – studiosi che giungono a mettere in dubbio la stessa esistenza della Shoah. Contro la follia di queste prese di posizione c’è assoluto bisogno di una corretta informazione che può essere trasmessa anche dalla letteratura che racconta la vita e apre nuove porte alla nostra mente. I ragazzi di oggi devono conoscere la realtà della Shoah. Devono conoscere le sofferenze dei bambini che stavano nella baracca I2 di Auschwitz, ma devono anche sapere che basta “un topo grasso e grigio che solleva il musetto baffuto verso l’alto” nell’angolo più buio della baracca per far ridere Hannah. I bambini sanno vivere il loro tempo, sanno trovare il sorriso in qualsiasi condizione esistenziale, quando ad esempio le due sorelline immaginano di nascondere i pantaloni e le mutande ai soldati tedeschi e “sarà divertente vederli correre nudi e a gambe levate”, e sanno collegare tra loro frammenti di storie. A Hannah il topo fa ricordare una sua compagna di classe che veniva sgridata dal maestro perché non sapeva le tabelline. Ad Alma la risata della sorella evoca altre risate: quelle che facevano insieme “quando il papà le portava a turno a cavalcioni per il giardino”.
Anna Baccelliere traccia un acuto parallelismo tra gli aguzzini tedeschi del campo di concentramento e la fiaba di Hansel e Gretel, e ci mostra l’importanza e il ruolo salvifico del narrare perché “nei momenti bui – come ricorda la poetessa Vivian Lamarque – abbiamo bisogno ancora che qualcuno ci canti”: Hannah implora, supplica la sorella di raccontarle ancora una volta l’incontro con Madame. “Avevo appena finito di lucidare gli stivali del comandante e dei soldati quando la blockowa mi ha chiamato con un rapido cenno della testa”. Alma ha paura del frustino di Madame, teme una punizione. Stringe i pugni. Invece Madame sorride e le mette nella mano una manciata di lenticchie prima di spingerla bruscamente verso l’uscita. E il racconto vero di Alma si intreccia con frammenti di altri racconti, di altre storie: riaffiorano alla memoria delle bambine le parole che la nonna Elisa canticchiava mettendo la terra nei vasi di gerani “Finché c’è terra e seme, non può cader la speme… Non va sprecata, piccole mie… La terra è ricchezza”.
Il sogno di sopravvivenza e di libertà è tutto racchiuso in quella manciata di lenticchie, è nella terra, in due pugni di terra che serviranno ad Alma per piantare le lenticchie in una vecchia scatola di lucido per scarpe. Aggrapparsi ad una manciata di lenticchie può consentire di continuare a sperare. E’ un sogno che si chiama terra e che permette di restare aggrappati alla vita. I bambini della baracca I2 sanno condividere il segreto. Tutti insieme prendono “in mano il Qui, per progettare un Altrove che non si trovi altrove ma che sia qui, che sia il Qui trasformato “: le illuminanti parole di Giuseppe Pontremoli sul senso di raccontare storie ai bambini, trovano nel testo della Baccelliere una precisa e puntuale conferma. “La fantasia dei bambini non si può imprigionare, né può restare a lungo impigliata nel filo delle recinzioni – scrive l’autrice – ma riesce a volare alto lì dove nessuna crudeltà umana riesce a raggiungerla”. Il principio della realtà – come scrisse Freud – risulta momentaneamente sospeso. Il sogno si sostituisce allora al reale. E’ sufficiente crederci. Così il mondo, ancora una volta, – come scriveva Elsa Morante – potrà essere salvato dai ragazzini.
L’autrice si affida alla dimensione allegorica e utopica della letteratura giovanile di cui parla Fabrizio Bagatti. Lo fa scegliendo una parola ricca, mai banale. Lo fa con un ritmo narrativo dinamico e con immagini di forte impatto emozionale dove anche il “silenzio può urlare muto i suoi atroci segreti alle stelle”. E’ in immagini metaforiche come questa, è in queste sinestesie letterarie che Anna Baccelliere mostra la pienezza espressionistica del suo stile: una scrittura lirica capace di far sognare, pensare e sorridere anche o soprattutto di fronte alle più drammatiche esperienze esistenziali. “La narrazione – come scrive Emy Beseghi – costituisce una fonte straordinaria per prestare ai bambini parole che giacciono come un richiamo sommerso, per raggiungere, risvegliare, sollecitare parti profonde di sé, per entrare nel mondo dei sentimenti e delle emozioni. O per aprire squarci di conoscenza inimmaginabili fino a un momento prima “. Il racconto della Baccelliere si muove esattamente su queste coordinate. L’autrice si interroga sul senso dell’esistenza e della vita dell’uomo, ci parla della solidarietà e della paura, della gioia e della sofferenza. Ci parla dell’importanza delle fiabe perché “con le fiabe si cresce” . Ma soprattutto sa dare voce all’infanzia e ne racconta la vita.
Le stupende illustrazioni della romana Lucia Sforza illuminano il racconto della Baccelliere, costituendo una sorta di racconto parallelo che rende reale l’immaginazione e offre nuove coordinate ermeneutiche per dire l’indicibile.
Anna Baccelliere traccia un acuto parallelismo tra gli aguzzini tedeschi del campo di concentramento e la fiaba di Hansel e Gretel, e ci mostra l’importanza e il ruolo salvifico del narrare perché “nei momenti bui – come ricorda la poetessa Vivian Lamarque – abbiamo bisogno ancora che qualcuno ci canti”: Hannah implora, supplica la sorella di raccontarle ancora una volta l’incontro con Madame. “Avevo appena finito di lucidare gli stivali del comandante e dei soldati quando la blockowa mi ha chiamato con un rapido cenno della testa”. Alma ha paura del frustino di Madame, teme una punizione. Stringe i pugni. Invece Madame sorride e le mette nella mano una manciata di lenticchie prima di spingerla bruscamente verso l’uscita. E il racconto vero di Alma si intreccia con frammenti di altri racconti, di altre storie: riaffiorano alla memoria delle bambine le parole che la nonna Elisa canticchiava mettendo la terra nei vasi di gerani “Finché c’è terra e seme, non può cader la speme… Non va sprecata, piccole mie… La terra è ricchezza”.
Il sogno di sopravvivenza e di libertà è tutto racchiuso in quella manciata di lenticchie, è nella terra, in due pugni di terra che serviranno ad Alma per piantare le lenticchie in una vecchia scatola di lucido per scarpe. Aggrapparsi ad una manciata di lenticchie può consentire di continuare a sperare. E’ un sogno che si chiama terra e che permette di restare aggrappati alla vita. I bambini della baracca I2 sanno condividere il segreto. Tutti insieme prendono “in mano il Qui, per progettare un Altrove che non si trovi altrove ma che sia qui, che sia il Qui trasformato “: le illuminanti parole di Giuseppe Pontremoli sul senso di raccontare storie ai bambini, trovano nel testo della Baccelliere una precisa e puntuale conferma. “La fantasia dei bambini non si può imprigionare, né può restare a lungo impigliata nel filo delle recinzioni – scrive l’autrice – ma riesce a volare alto lì dove nessuna crudeltà umana riesce a raggiungerla”. Il principio della realtà – come scrisse Freud – risulta momentaneamente sospeso. Il sogno si sostituisce allora al reale. E’ sufficiente crederci. Così il mondo, ancora una volta, – come scriveva Elsa Morante – potrà essere salvato dai ragazzini.
L’autrice si affida alla dimensione allegorica e utopica della letteratura giovanile di cui parla Fabrizio Bagatti. Lo fa scegliendo una parola ricca, mai banale. Lo fa con un ritmo narrativo dinamico e con immagini di forte impatto emozionale dove anche il “silenzio può urlare muto i suoi atroci segreti alle stelle”. E’ in immagini metaforiche come questa, è in queste sinestesie letterarie che Anna Baccelliere mostra la pienezza espressionistica del suo stile: una scrittura lirica capace di far sognare, pensare e sorridere anche o soprattutto di fronte alle più drammatiche esperienze esistenziali. “La narrazione – come scrive Emy Beseghi – costituisce una fonte straordinaria per prestare ai bambini parole che giacciono come un richiamo sommerso, per raggiungere, risvegliare, sollecitare parti profonde di sé, per entrare nel mondo dei sentimenti e delle emozioni. O per aprire squarci di conoscenza inimmaginabili fino a un momento prima “. Il racconto della Baccelliere si muove esattamente su queste coordinate. L’autrice si interroga sul senso dell’esistenza e della vita dell’uomo, ci parla della solidarietà e della paura, della gioia e della sofferenza. Ci parla dell’importanza delle fiabe perché “con le fiabe si cresce” . Ma soprattutto sa dare voce all’infanzia e ne racconta la vita.
Le stupende illustrazioni della romana Lucia Sforza illuminano il racconto della Baccelliere, costituendo una sorta di racconto parallelo che rende reale l’immaginazione e offre nuove coordinate ermeneutiche per dire l’indicibile.
LIVIO SOSSI
Docente di Storia e Letteratura per l’infanzia
Università degli Studi di Udine
Da http://www.annabaccelliere.altervista.org/
Docente di Storia e Letteratura per l’infanzia
Università degli Studi di Udine
Da http://www.annabaccelliere.altervista.org/
Per scaricare la brochure del Festival: http://www.comune.torremaggiore.fg.it/eventi_long.php?Rif=473
Il Sito del Festival: http://www.festivalletteraturatorremaggiore.it/