Donne. Madri, spose e figlie col dono impagabile del sorriso eternamente giovane. L’antidoto spontaneo e lenitivo che irradiava luce e buonumore su una rassegnazione atavica. Figlia della disperazione e dell’intramontabile arte dell’adattamento, tipiche della condizione di tanta gente del Sud: quella del “tirare a campare”.
Un’arte che affonda i suoi pilastri nella silenziosa solidarietà delle comunità locali, nei legami famigliari e di reciproca amicizia, spesso particolarmente femminili, nonché nella consapevolezza che l’unico collante, per tener su questo castello traballante di precarietà quotidiana, sono e restano “le proprie forze”.
Tina, Giovanna, Matilde e Antonietta con la forza che tutto sopporta, insieme a tante loro amiche, lottavano per sopravvivere, animate dal fuoco sacro e silente della speranza. Maria, invece, quel fuoco non ha avuto il tempo di accenderlo. Tanto fatale e improvvisa è stata, a soli 14 anni, la sua ascesa al Paradiso degli innocenti.
Vittime della superficialità e della preoccupante evanescenza di ogni senso di responsabilità. Personale o collettiva che sia. Vittime dell’esasperante corsa sulle autostrade dell’affermazione dell’individuo, piuttosto che lungo i sentieri dell’attenzione alla persona. Vittime della perdita di capacità di analisi, perché l’economia del tempo non consente più di soffermarsi sugli antichi metodi di costruzione. Quelli che basavano spesso lo sviluppo urbano sulla “tecnica dell’appoggio”, essendo radicata l’abitudine delle comunità a tenersi strette, in senso “largo”, per meglio far fronte alle difficoltà quotidiane.
Vite condannate all’invisibilità. Dalla penombra di un sottoscala alla nebulosità impolverata di un crollo che si fa tragedia. Anime il cui spirito accompagnerà il cammino dei loro cari, illuminandolo con quell’indimenticabile sorriso. Che l’ultima beffa, anche lassù, non sia quella di assistere, impotenti, alle ipotesi di disastro e omicidio colposo, restare fatalmente senza colpevoli. Il Dio della giustizia non voglia, magari anche per decidere chi perdonare!
di Antonio V. Gelormini