Ne hanno parlato tutti e ancora oggi ne parlano tutti. Il report periodico dello SVIMEZ sul nostro sud sono da tragedia e in alcuni momenti sono addirittura inverosimili quando si parla di 400 anni necessari per recuperare il gap dal nord.

Forse lo Svimez voleva dire che, se si va avanti così e con queste politiche per il sud e con questo modo di amministrare il sud, forse non si arriverà mai a una soluzione della cosiddetta “questione meridionale”.

Una delle cose che colpisce e che, forse, fino ad oggi, non era stato molto presente, ai Governi che si sono succeduti negli ultimi due decenni,  che il sud sta smettendo di consumare e cioè le famiglie e le imprese consumano meno del passato. Questo vuol dire che quello che era uno dei punti di forza del sud e cioè l’accantonamento familiare di risorse sta diminuendo e le famiglie, ad esempio, non riescono più ad essere così solidali al loro interno come lo erano in passato. I genitori, i nonni, non riescono più a sopperire alla mancanza o alla diminuzione di reddito dei loro figli e dei loro nipoti.

Questo dovrebbe essere un segnale chiaro e forte per tutto il Paese. Se il sud crolla, crolla tutta l’Italia, ma non perché, come piace dire ai commentatori e agli economisti classici e legati agli stereotipi più che ai numeri, il sud drenerà sempre più risorse al nord, ma perché, al contrario, il sud non sarà più il salvadanaio del nord dal punto di vista dei consumi e quindi dell’assorbimento della produzione delle zone forti d’Italia.

Il sud è stato ed è ancora, lo dimostra l’interesse ancora elevato della GDO di investire al meridione, il salvadanaio del nord. Ma se il salvadanaio si rompe, allo tutto il contenuto sparirà e saranno dolori.

Differentemente da come si è fatto in questi 151 anni di questa nostra unità (più un mercato comune che un’unità nazionale) si è puntato tutto sullo sviluppo di determinate aree a scapito di altre o, nella migliore delle ipotesi, lasciando alle altre una crescita più lenta e difficoltosa.

Se pensiamo che, ad oggi, tutto il sistema ferroviario e stradale e infrastrutturale del sud è pensato per direttrici nord – sud  e non anche  come una rete “intrameridionale” si capisce che non ci può essere un vero sviluppo se non quello del commercio di merci provenienti e trasportate nella stessa direzione, quella, appunto,  nord – sud. Se ancora oggi, anche i governi delle regioni del sud, prendono come una vittoria il via al progetto della ferrovia ad alta capacità  Bari – Napoli (fatto positivo intendiamoci) e non spendono una parola per la chiusura di tutte le ferrovie secondarie che potevano essere oggetto di investimento e rivalutazione dal punto di vista economico come metropolitane mezzi di trasporto interregionali, allora vuol dire che questo sviluppo non lo si vuole se non sotto la mera forma di mercato. Cioè si vuole il sud come acquirente e non come luogo della produzione.

Se si può chiudere la stazione di Avellino, non avere la stazione a Matera ed essere contenti… allora c’è qualcosa che non va.

Il caso ILVA, il caso Alcoa, il caso Termini Imerese, sembrano essere presi come il risultato di un destino fatale e già scritto al quale non ci si può né ribellare né porre rimedio e non come  il frutto di una cecità e di un cinismo direi “assassino” che ha caratterizzato le politiche del nostro Paese, praticamente da sempre.

Che a Taranto non si possa coniugare salute  e lavoro è  semplicemente assurdo. O meglio, lo si vede in tutti i sud del mondo e in tutte le “colonie”, nelle quali, un tozzo di pane vale pure la vita di “qualche” abitante locale.

Non dimentichiamo che il nostro stato, le nostre regioni, hanno accettato tutto questo, hanno accettato che l’allora Italsider, proprietà statale, lavorasse senza colpo ferire a Taranto per decenni senza preoccuparsi minimamente della salute dei cittadini di Taranto, ma anche cittadini Italiani se qualcuno se lo fosse dimenticato. Non sarebbe stato possibile, se non fossimo considerati meno di una colonia, che alla Basilicata finisse l’inquinamento da idrocarburi e alle multinazionali e allo Stato Italiano tutti i benefici del petrolio estratto lì.

Tutto questo deve finire e deve finire in modo democratico. Cioè con governi che considerano il sud parte integrante dell’Italia e non come un luogo nel quale fare “una visita pastorale” ogni tanto come qualche importante membro del Governo ama dire. “Sono stato a Sud tre volte”. Ridicolo. La parola sud è utilizzata come dire: “Sono stato in America tra volte  da quando sono al Governo”. In pratica, tradotto: “il sud è altra cosa rispetto all’Italia che conta per me”.

Per chiudere l’economia meridionale va rifondata, ma non dimentichiamo un dato e un’analisi fondamentale rispetto alla deprimente analisi SVIMEZ: i dati così negativi del Sud non sono endemici o solo endemici, sono indotti, indotti da governi nazionali irresponsabili (e cinici) e da governi locali incapaci e forse anche un po’ venduti.

 

di Michele Dell’Edera (da Sud24.it)

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