L’occupazione femminile nel nostro Paese continua ad essere lontana dai livelli dei Paesi
più avanzati e, anche se negli ultimi anni si registra un trend in crescita nella maggior parte degli indicatori di diversità di genere, siamo ancora lontani dalla soglia di parità del 40–60%. In Italia sono meno di un terzo le donne tra i dirigenti delle imprese italiane. Eppure, i dati ormai lo attestano, quando il management ha una percentuale maggiore del 30% di donne si registrano migliori performance in termini di margine operativo lordo (+18,5%), minor tasso di infortuni (– 40%), profili di rischio inferiori e un tasso di turnover in entrata superiore del 138% rispetto alle aziende a guida maschile.
Sono alcuni dei dati presentati nell’opening speech della 14°edizione del CreditVillageDay che si è tenuta ieri aMilano, presso il Crowne Plaza Hotel di San Donato Milanese. L’evento, che dal 2008 rappresenta l’occasione più importante che riunisce tutto il settore della Credit Industry, ha permesso un grande ritorno al networking in presenza e alle relazioni professionali ed ha messo al centro proprio il
valore delle capacità femminili che, in un momento delicato come quello che stiamo vivendo, potrebbero contribuire ad impostare una nuova normalità, apportando maggiore efficienza, produttività e innovazione in tanto settori.
A cominciare da quello del credito che negli ultimi anni ha visto tante donne farsi spazio, andando ad occupare posizioni apicali e di rilievo di importanti realtà imprenditoriali. L’evento, che si può rivedere in streaming, è stato intitolato “Women in credit. Building a new era: tra accelerazioni e ripensamenti” ed ha presentato diverse best practice aziendali in materia di diversità di genere, a cominciare dall’adozione di politiche specifiche o di rating ESG per favorire performance occupazionali e leadership in termini di pari opportunità.
Al di là dei numeri la giornata di ieri, moderata dalla giornalista del Sole24Ore Monica D’Ascenzo, si è articolata in tre tavole rotonde focalizzate su specifici temi caldi per il settore, cercando di far luce su vantaggi e criticità legate ai principali cambiamenti “imposti” dalla pandemia. La prima sessione è stata dedicata alla “Smaterializzazione del posto di lavoro” e, attraverso la voce di personalità diventate ormai punti di riferimento del credit management, ha analizzato i nuovi modelli organizzativi del lavoro, a cominciare dallo smart working, riflettendo su come il lavoro agile abbia già influito sulla gestione logistica degli edifici, sulla riorganizzazione degli spazi e sui diversi comparti
dell’indotto.
Gli spazi cambieranno e di conseguenza cambierà il valore degli immobili che è da sempre soggetto ai
trend del momento. I grandi centri direzionali stanno perdendo la loro centralità mentre sul residenziale si registra un boom di richieste di immobili grandi, con spazi esterni e in location più periferiche che erano state un po’ messe da parte dal mercato.
Alcuni processi, come il restructuring, erano impostati in modalità remoto già da tempo e questo ha permesso, soprattutto nel nostro Paese dove ogni azienda è caratterizzata da pluriaffidamenti, una più ampia partecipazione alle riunioni.
Di positivo c’è anche il fatto che il lavoro agile contribuirà ad aumentare l’ingresso delle donne nel mondo del lavoro, permettendo una migliore conciliazione con la vita familiare. Discorso che si lega al tema della seconda sessione, ovvero l’innovazione tecnologica nella Credit Industry. Sarà sempre più centrale per tutte le aziende, dalle più piccole alle più grandi, aumentare la digitalizzazione dei processi e investire sulle nuove tecnologie che devono essere percepite come un “accompagnamento” all’attività umana per innalzare il livello di performance. Senza dubbio ci sono diverse attività, come i marketplace e le piattaforme di scambio di dati, che hanno beneficiato di soluzioni di intelligenza artificiale e robotica, ma dall’altro lato ci sono stati alcuni esperimenti meno riusciti, che hanno mostrato i
limiti dell’applicazione tecnologica a favore dell’intervento umano.
Infine, l’ultima tavola rotonda si concentrerà sul mercato del servicing che, negli ultimi anni, ha vissuto un processo evolutivo importante che ne ha ridisegnato completamente gli assetti. Il titolo, “Servicer: big better than small?”, fa riferimento al fatto che oggi abbiamo da una parte un numero limitato di grandi player che detengono una quota molto significativa dei volumi di crediti in gestione e si contraddistingono per un’elevata standardizzazione e industrializzazione dei processi, e dall’altra un esercito di servicer di dimensioni più ridotte, che a loro volta possiedono caratteristiche e skills molto specifiche, hanno una profonda conoscenza del territorio e garantiscono ottime performance.
Un panorama complesso e in continua evoluzione in cui ogni operatore dovrà mettere in campo
specifiche strategie per poter affrontare le sfide future e non deludere aspettative di affidabilità, performance e sostenibilità che diventeranno sempre più centrali nella gestione dei crediti. L’attenzione è stata puntata verso le committenti che dovrebbero guardare molto di più a parametri oggettivi più che a quelli meramente quantitativi, che non sono più sufficienti a rappresentare la realtà.
L’invito è a considerare l’organizzazione della struttura, l’efficienza dei processi, le performance e, non ultimo, il rispetto della sicurezza dei dati piuttosto che il solo fatturato o il numero di pratiche lavorate. Non fa bene a nessuno acuire la contrapposizione piccolo/grande per non rischiare di lasciare fuori dal mercato i soggetti piccoli che sono efficienti e puntano a crescere. Anche perché questi servicer in tanti casi rientrano dalla finestra attraverso affidamenti in subappalto. Infine, c’è un tema di cybersecurity per cui, alla luce dei cyber attacchi più recenti, si è dimostrato che grande non è di per sé garanzia di sicurezza informatica.