Camomilla sa tutto di me. Sa quando è il mio compleanno, dove sono nata, dove vivo. Conosce i
miei gusti in fatto di abbigliamento. E così pure Pimpkie, OVS, Bottega Verde, La Feltrinelli,
Metro ed altri ancora. Sono tesserata e schedata nel loro database! Conoscono me ed i miei gusti e,
sebbene la cosa in fondo mi faccia anche un po’ paura, è confortevole sapere che una azienda profila la sua offerta in base anche ai miei gusti.
Oltre ad essere una appassionata di shopping (La Feltrinelli forse mi ha salvato dall’essere bollata come la Rebecca Bloomwood “de no’ artri”!), sono anche appassionata di arte e spesso (tanto spesso) me ne vado per musei e per mostre e per luoghi d’arte. Eppure, nonostante frequenti alcuni
di questi musei più di qualche negozio su citato, NON ho la tessera di nessuno di essi. Non sono
tesserata, né schedata in un database!
Ma peggio ancora: nessuno me lo ha mai chiesto.
Il 21 Gennaio scorso il Professor Ludovico Solima ha pubblicato un interessante articolo
https://opzionecultura.wordpress.com/2018/01/21/sui-visitatori- dei-musei- e-la- tirannia-dei- numeri/
dal titolo Sui visitatori dei musei e la “tirannia dei numeri”, dove affronta il tema dello
straordinario incremento di numero di ingressi di cui sono stati oggetto i musei italiani nel 2017.
Questo dato davvero importante ha però una pecca, ovvero questi numeri, se pur in incremento,
sono numeri muti, poiché non forniscono informazioni sugli utenti, tanto da non permettere
nemmeno la discriminazione tra numero di ingressi e numero di visitatori. Come ben evidenzia il
Professor Solima l’equivalenza tra ingressi e visitatori può portare ad una distorsione
nell’interpretazione del dato che “risulta del tutto priva di fondamento e dunque le scarne
informazioni statistiche che sono disponibili sui visitatori dei musei italiani andrebbero quanto
meno interpretate in modo più attento”.
Chiaramente da fundraiser il tema mi ha subito affascinato poiché uno dei ostacoli al fundraising
per i musei (per lo meno il fundraising da individui) è proprio l’impossibilità di avere notizie sui
visitatori e, meglio ancora, l’impossibilità di poter interrogare un database per conoscere gli utenti
di quella data istituzione culturale.
Ma torniamo per un attimo all’articolo del Professor Solima ed alla mia passione per lo shopping.
Nel suo articolo il Professore fa riferimento al fatto che manca uno studio costante e sistematico dei
pubblici dei musei italiani ( es. Osservatorio Nazionale sul pubblico dei musei) e che ogni tipo di
raccolta dati che permettesse di indagare e conoscere i pubblici dei musei “è stata demandata alle
iniziative dei singoli istituti, componendo un quadro complessivo molto frammentato, costellato da rilevazioni il più delle volte condotte in modo estemporaneo, circostanza che ha impedito lo
sviluppo di un approccio metodologico condiviso e quindi di una qualsivoglia possibilità di
effettuare comparazioni attendibili tra una rilevazione e l’altra nonché di sviluppare valutazioni a
livello di sistema.”
Nonostante qualsivoglia osservazione nazionale dei negozi di abbigliamento, scarpe, accessori,
trucco femminili possa portare sicuramente a risultati interessanti dal punto di vista statistico, è
l’indagine condotta dal singolo negozio che fa sì che esso possa conoscere meglio il pubblico per
modellare l’offerta. Mi spiego. Camomilla, Pimpkie, OVS, Bottega Verde, La Feltrinelli, Metro, ecc
profilano la loro offerta in base anche alla mia risposta alle loro sollecitazioni (quali capi ho
comprato, a quali offerte ho aderito, se ho gradito i loro servizi). Alcuni di questi negozi hanno con
me un rapporto strettissimo (mi aggiornano con le e-mail, mi mandano sms, chiedono il mio parere
sul loro store e sul personale). E dunque più che un osservatorio nazionale credo fermamente che
vada demandato ad ogni museo la necessità di munirsi di strumenti che permettano un’opportuna
targettizzazione del pubblico. È sottinteso che il mio discorso vale soprattutto per i grandi musei ed
i grandi attrattori culturali; d’altro canto sono proprio questi ad avere il problema: grandi e
silenziosi numeri!
Quando ero ancora una studentessa di fundraising, un mio docente (l’ottimo Raffaele Picilli, che ringrazio),
parlando di fundraising per la cultura, disse “provate ad iscrivervi alla newsletter del Guggenheim Museum”.
Lo feci subito; sono iscritta ancora oggi. Da quella newsletter ho capito cosa vuol dire profilare l’offerta e
conoscere il pubblico: partendo dalle proposte di membership (attualmente 12 quelle a cui puoi aderire tu, più
altre sotto invito), fino all’offerta culturale giornaliera, tutto è fatto in funzione della conoscenza del pubblico.
I musei italiani di oggi, mi riferisco soprattutto ai musei statali ed in particolare a quelli autonomi, hanno
sicuramente un po’ strumenti utili per iniziare un discorso di profilazione degli utenti. Innanzi tutto lo
straordinario numero di eventi collaterali che stanno mettendo in campo: dall’allestimento di nuove mostre (che
spesso sembrano persino allontanarsi dalla specifica mission del museo) ad eventi musicali, teatrali,
gastronomici e poi, soprattutto, hanno lo strumento dell’Art Bonus che di fatto fornisce informazioni utili
proprio ai fini del fundraising. Proprio i dati uscenti dalle campagne condotte in Art Bonus possono essere
fondamentali per avviare un discorso di conoscenza e poi fidelizzazione del donatore.
Dal punto di vista del fundraising un modo per convertire un visitatore in un donatore è infatti conoscerlo,
analizzarne i gusti, farlo sentire coinvolto e proporgli di volta in volta operazioni di sostegno dell’istituzione
culturale in base anche all’analisi dei suoi gusti e quindi ai progetti che più incontrano la sua specifica sensibilità
di donatore. Successivamente, però, è necessario prendersene cura e quindi cercare di instaurare con la persona
un rapporto che si possa tradurre nel tempo in un rapporto di fiducia.
Le basi per avviare questo tipo di approccio alla conoscenza dell’utente ci sono già e sono state fornite proprio
dal legislatore. Infatti nel DM 23 dicembre 2014
http://www.beniculturali.it/mibac/multimedia/MiBAC/documents/feed/pdf/DM%20del%2023%20dicembre%
202014-imported- 49315.pdf all’articolo 4 si legge che
“Nell’amministrazione dei musei statali è assicurata la presenza delle seguenti aree funzionali, ognuna
assegnata ad una o più unità di personale responsabile:
a) Direzione
b) Cura e gestione delle collezioni, studio, didattica e ricerca
c) Marketing, fundraising, servizi e rapporti con il pubblico, pubbliche relazioni
d) Amministrazione, finanze e gestione delle risorse umane
e) Strutture, allestimenti e sicurezza”
Da notare il corsivo usato proprio per evidenziare le funzioni di marketing e fundraising. Uno
sviluppo opportuno di queste due aree può andare proprio nel verso di cercare di uscire dall’annoso
problema, a cui fa riferimento il Solima che in merito, cita un articolo professoressa emerita Eilean
Hooper Greenhill della University of Leicester, che nel lontano 1988 ha scritto un saggio dal titolo
Counting visitors or visitors who counts.
Gli strumenti dunque ci sono tutti, si tratta solo ora di metterli in pratica. È giunto il tempo che i
grandi numeri muti dei nostri musei diventino persone e soprattutto donatori!
di Valeria Romanelli
R&R consulting