Il Fondo Monetario Internazionale, che Dominique Strass-Kahn si appresta a dirigere dal prossimo 1 novembre, è in profonda crisi di funzione. In parte conseguente dal peso difensivistico e nazionalista del diritto di veto di Stati Uniti, Europa (Francia, Germania e Gran Bretagna) e Giappone, e in parte dalla evidente concorrenza di alcuni suoi stessi Paesi membri, primo fra tutti la Cina.
Da tempo l’attività della Repubblica cinese in Africa e in America Latina, in cui è vera e propria banca internazionale per alcuni Paesi, a cui concede prestiti a tassi più favorevoli rispetto a quelli praticati dallo Fondo Monetario Internazionale e dalla stessa Banca Mondiale, ha di fatto ridimensionato il ruolo dell’organo che il socialista francese, fortemente voluto da Nicolas Sarkozy, si accinge a governare.
Esclusa dai processi decisionali, nonostante insieme a India e Paesi petroliferi del Medio Oriente, detenga la maggior parte di riserve finanziarie dei Paesi partecipanti al Fondo, la Cina ha visto mortificate le sue ambizioni e le sue aspettative, essendo solo arrivata a vedersi riconosciuto un peso analogo a quello dei tre Stati europei del Benelux.
L’appetibilità del ricorso al Fondo, in un contesto globalizzato e facilmente accessibile da ogni forma di concorrenza, si è rivelata abbastanza relativa. Fino a motivare Paesi come l’Argentina, il Brasile, quelli del fronte asiatico e quelli del continente africano, nonché la stessa Russia, a muoversi più facilmente verso la convenienza del mercato e sempre meno verso i servizi offerti dall’Istituto finanziario sovranazionale. Riducendo, di fatto, la cartella prestiti del Fondo a poco più di 10 miliardi di euro.
Una vittoria di paglia, quella del Presidente della Repubblica francese, che potrebbe aver consegnato a Strass-Kahn un presente praticamente evanescente, anche se confezionato in una vistosa confezione regalo.
di Antonio V. Gelormini