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Al suo passaggio, di solito, segue l’arrivo infestante di un particolare tipo di “locuste virtuali”, i cui sciami sono usi attaccare con determinazione gli assetti azionari di società ritenute solide, ma sclerotiche nella governance e poco inclini ai ritmi ed alle agilità delle moderne evoluzioni borsistiche.
Si parla di locuste e sui progetti ambiziosi del Presidente del Consiglio di sorveglianza di Mediobanca, Cesare Geronzi, nonché sulla cordata finanziaria di amici francesi, torna ad aleggiare l’ombra di Matteo Arpe e delle traiettorie finanziarie da Formula Uno. Quasi un incubo per il banchiere romano, che ancora una volta si profila sotto i lineamenti del The Children Investiment’s Fund (Tci), attraverso la sua partecipata Algebris.
Sotto accusa una corporate governance che potrebbe fare decisamente di più, secondo l’analisi del fondo inglese. Riuscire a trarre profitti solo nell’ambito di un 60% delle reali potenzialità della società, non può essere motivo di merito. Tanto più quando il management arriva a pesare, sui costi fissi dell’azienda, fino nove volte (Barnheim) gli stessi compensi riconosciuti ai colleghi europei di Axa o Allianz. Società assicurative che, tra l’altro, riescono a garantire ai propri azionisti rendimenti, sul lungo periodo, superiori del 30% rispetto a quelli delle Generali.
Un invito a fare più assicurazione e meno finanza speculativa. A potenziare il core business di una vera società di assicurazioni, spingendo un po’ più l’acceleratore sul fronte assunzione rischi e a coltivare meno rendite di posizione, che appesantiscono l’azione operativa di governance. Ne avrebbero fatto volentieri a meno, ma a Trieste il messaggio è arrivato forte e chiaro. Per il momento l’unico rischio da evitare è che la bufera possa trasformarsi in un ingovernabile tsunami.
di Antonio V. Gelormini