l principio è di una elementarità unica: è il corpo (oggetto o soggetto) più voluminoso, nel bene e nel male, a condizionare quello più piccolo. Salvo capacità e concentrazioni virtuose, che in Air One non sono affatto riscontrabili. E dalla fusione di due strutture malate, con equilibri evidentemente non bilanciati, non è sparabile cavarne virtù di alcun tipo.
Prima i sindacati se ne faranno una ragione, prima si potrà realmente gestire la svolta della compagnia aerea di bandiera italiana. Prima si decideranno, a comincia
re da Alitalia (anche se il ritardo accumulato è spaventoso), a dirsi che è finito il tempo di battaglie di retroguardia, meglio potranno sintonizzarsi sui risvolti di problematiche non più affrontabili nelle mura di casa. Bensì, nei contesti globali di una moderna ottica internazionale.

Il Consiglio di Amministrazione di Alitalia, alla fine, ha deciso. Maurizio Prato l’ha portato sulle rive della Senna e lungo le distese di tulipani, sotto le eliche dei reali mulini a vento olandesi. Adesso sarà difficile e alquanto improbabile che il Governo faccia una scelta diversa da Air France/Klm. Troppo grande sarebbe la responsabilità di un flop, che potrebbe ripresentarsi, in tutta la sua drammaticità, dopo essere riusciti a malapena a scansarlo.
Il nodo è e resta Malpensa. Un lusso che in assenza di vere e proprie liberalizzazioni degli slot, l’Italia non può permettersi. Non sono tempi da botte piena e moglie ubriaca. Due hub, quando le stesse Spagna, Francia, Inghilterra e Germania ne hanno uno solo, è come volersi permettere la Ferrari con meno di mille euro al mese. Ora il fatto di avere in Italia sia la Ferrari che stipendi sotto i mille euro mese, non è condizione sufficiente per stravolgere gli elementari principi di buon senso.
di Antonio V. Gelormini