L’ennesima testimonianza che un teatro non può essere un museo, tantomeno il Nuovo Teatro Petruzzelli rinato per celebrare la modernità, rappresentando anche la tradizione, questa volta ha vestito lo stile e il timbro di un marchio intangibile: il suono unico e ormai inconfondibile di Enrico Rava, il trombettista triestino ambasciatore italiano del jazz nel mondo.
A portarlo, ancora una volta, sul palcoscenico levantino è stata la Camerata Musicale Barese, nell’ambito della programmazione “Prestige”, che celebra con un cartellone da “grand parade” i suoi settant’anni di attività. Un ritorno arricchito dallo straordinario quintetto di Rava: Gianluca Petrella (trombone), Giovanni Guidi (pianoforte), Gabriele Evangelista (contrabbasso), Fabrizio Sferra (batteria) e dal loro recente progetto discografico “Tribe”.
Una serata all’insegna della musica raffinata e soprattutto marcata dalla fantasia pulita e “chiaroscura” dei dialoghi musicali di autentici talenti, esaltati dalla vena creativa e compositiva di Enrico Rava. Un suono leggero e al tempo stesso intenso e coinvolgente. Più volte indicato dallo stesso maestro come: ”Non soltanto qualcosa di fisico. Dato che il suono è qualcosa che corrisponde anche all’anima”.
Una ricerca lunga una vita, frutto e testimonianza di un peso italiano significativo nella storia del Jazz. Prodotto e praticato soprattutto dai neri, il gruppo più consistente, ma anche dagli ebrei e dagli italiani. Quando in ogni famiglia o in ogni bottega artigianale c’era uno strumento musicale, e non mancava almeno un musicista che lo suonasse. Per cui, l’improvvisazione era fatto spontaneo coltivato quotidianamente. Un patrimonio radicato nel DNA nazionale, generatore naturale di melodia e di predisposizione alla cosiddetta “jam session”.
Un’occasione per rendere omaggio al “prestigioso compleanno” del sodalizio barese, ma utile a consacrare anche l’estro talentuoso di Gianluca Petrella, il trombone barese definito “geniale” dallo stesso maestro Rava. Che ha voluto rendere ancora più essenziali gli impeccabili ed eleganti interventi della sua tromba, per lasciare tutto lo spazio necessario alla performance calda e poliedrica di Petrella e del suo trombone.
Riflessi lucidi di autentica classe, che spiccavano sul magnifico ordito musicale tessuto dalle “elaborazioni”, dai “commenti” e dalle “imbeccate” di un trio-accompagnante affiatato come non mai. Anche se il loro “soffio” virtuoso disegnava arabeschi armonici ritmicamente tracciati da tasti accarezzati, corde pizzicate e bacchette irrequiete.
Un’intesa palpabile tra eccellenze del suono, che non hanno bisogno di ricorrere al virtuosismo per conquistare la platea. Un equilibrio melodico costantemente mantenuto, anche nelle improvvisazioni più articolate. Segno di una sintonia di ciascun musicista con sé stesso e con gli altri. Una sensazione piacevolmente percepita anche dal pubblico durante le due ore di spettacolo.
La consapevolezza, infine, di un patrimonio di cui essere orgogliosi. La valutazione è di quelle che pesano ed è il suo mentore, Enrico Rava, a sancirla: “Gianluca Petrella probabilmente è il musicista più interessante che il jazz italiano abbia mai generato”.
di Antonio V. Gelorminni