A ben guardarlo si direbbe un personaggio pirandelliano. Di quelli in cerca d’autore tra le righe di un pentagramma, nei versi suggestivi di sue poesie, o dietro il velo razionale di originali riflessioni musicali. Ma poi Alfred Brendel allunga le mani verso il pianoforte e la maschera viene via.
Le dita non si contano più nell’andirivieni, armonicamente intenso, lungo quella sconfinata prateria combinatoria di tasti bianchi e neri. E il timbro di un suono, dai colori tonali vivaci, disvela come e perché questo ottantenne austriaco di nascita, ma autentico cittadino del mondo, sia stato il primo pianista a registrare tutti i lavori pianistici di Beethoven. Nonché l’artista-protagonista di un imponente patrimonio discografico, le cui interpretazioni sono pagine antologiche di rara bellezza e di estrema eleganza esecutiva.
Bari e l’Università degli Studi “Aldo Moro” hanno deciso di rendere omaggio a questo grande e sofisticato artista del Novecento, conferendo ad Alfred Brendel la Laurea honoris causa in Lingue e letterature moderne, e organizzando nel foyer del Teatro Petruzzelli la lettura di una scelta di poesie presentate dallo stesso autore (la lettura in italiano a cura di Paolo Panaro).
Si direbbe che l’artista austriaco sia partito proprio da Luigi Pirandello che definiva l’umorismo “il sentimento del contrario”, per focalizzare la sua lectio magistralis su “Il sublime a rovescio. Può una musica seria essere comica?” Procedendo sul filo di un quesito intrigante: “E’ possibile, in un brano esclusivamente strumentale, senza testo, provocare nell’ascoltatore il sorriso?”
Una lezione ammaliante, musicalmente raffinata e ricercatamente provocatoria, per trasmettere ai presenti il suo lucido e penetrante sguardo sulla musica e sui musicisti. Con grande abilità Brendel si è divertito, divertendo e sorprendendo, a smontare alcuni brani classici per mettere in evidenza come in essi, così come nel loro stile compositivo, grandi musicisti abbiano saputo “soffiare con arguzia e creatività” la qualità dell’umorismo, per accendere nell’ascoltatore l’effetto del riso.
Ha dato per scontata la capacità comune di individuare elementi umoristici nell’opera comica di Gioacchino Rossini, per esempio. Ma per meglio individuare le caratteristiche tecniche dell’umorismo in musica, ha eseguito una parte del terzo movimento della Sonata n. 50 in do maggiore di Franz Joseph Haydn. Per il quale ha sottolineato: “Ritengo che sia uno dei massimi umoristi in musica, e per troppo tempo uno dei compositori più incompresi. La ricchezza e la varietà di effetti comici nella musica strumentale di Haydn sono uniche in tutto il Settecento”. Dicendosi gratificato di poter far scoprire alcuni dei tratti più buffi del compositore austriaco, per poter meglio apprezzare un mondo di inarrivabile vivacità e originalità.
“La musica comica può essere rovinata, e perdere completamente di significato, se la si esegue seriamente”, ha tenuto a precisare Brendel, prendendo in contropiede la platea. E per dimostrarlo ha affrontato quello che lui stesso ha definito: “Uno dei massimi capolavori di tutti tempi, in particolare se osservato dal punto di vista della satira umoristica”. Le variazioni Diabelli di Ludwig Van Beethoven. La testimonianza tangibile di quel cosiddetto sublime a rovescio. Che a tratti è affiorato anche in alcuni fraseggi delle stesse poesie di Alfred Brendel.
Da Platone a Kandinskij, da Schiller a Schopenhauer, con la leggerezza di un aliante, Brendel ha tracciato un percorso ideale all’insegna di un brillante detto ebraico, che recita: “l’uomo pensa, Dio ride”. Arrivando fino a Umberto Eco ed a Il nome della rosa. Dove Guglielmo di Baskerville è alle prese col tema del ruolo della comicità che, attraverso il secondo libro della Poetica di Aristotele, avrebbe potuto mettere in discussione le verità della tradizione, dogmaticamente difese dall’arcigno Jorge de Burgos.
di Antonio V. Gelormini