Scola e Maccari collaborarono nel 1963 con il regista Pietrangeli alla stesura di uno strano film, decisamente fuori dagli schemi, e non solo per il suo tempo. Una felicissima sceneggiatura cinematografica di curiosa matrice teatrale. Una storia esistenzialista, ma venata di una implacabile comicità e cattiveria, una storia di incomunicabilità, ma che in piena èra Antonioni aveva il coraggio di risultare spesso ridicola e risibile; una commedia all’italiana, allora? Difficile dirlo, non avendo nessun tratto consolatorio, e non presentando neppure un personaggio in cui gli italiani del tempo accettassero di riconoscersi. Una storia amarissima, ma non rivolta contro i suoi personaggi – anche se gli autori li mettono in scena con un cinismo degno di un gruppo di entomologi – ma piuttosto contro la società che fa loro da sfondo. Oggi possiamo dirlo con maggiore cognizione di causa, visto che sono passati quarant’anni, e siamo in grado di giudicare con distacco l’ubriacatura del boom; l’illusione di una nazione, che si raccontava per quello che non era, dove il più tangibile segno del progresso era l’aumento della solitudine sia nei centri urbani che in quelli agricoli. In realtà una dolorosa (e appunto ridicola) epoca di transizione, dove la sofferenza dell’individuo era destinata a perdersi nel rumore e nella volgarità del mondo post bellico occidentale, ottimista ad ogni costo, contro ogni evidenza: un mondo “nuovo” che cominciava ad affacciarsi proprio allora. Ecco dunque che “La Visita” ci riguarda molto di più di quanto pensassimo; i mali che descrive, l’ambiguità, la grettezza, la solitudine, il chiasso, sono piaghe del nostro vivere oggi come allora, e anzi forse possiamo dire che lo sono di più oggi in quanto dirette discendenti di quelle. Ovvero: “La Visita” ci parla di alcuni problemi che erano in agenda, ma che nessuno ha poi risolto, e sono ancora qui, sotto gli occhi di tutti. Nella storia, Adolfo viene da Roma e Pina vive in provincia, ma le tipologie dei due sono riconducibili a ogni spersonalizzato cittadino, a qualsiasi ex ragazza di una provincia qualsiasi. Una sceneggiatura che affronta l’ombra della vita con mezzi assolutamente degni della migliore narrativa. Una storia che ha quarant’anni ma che oggi per molti può avere il carattere della novità, anche se si tratta di un classico: – pur non essendo stato un successo commerciale, come d’altra parte nessuno dei film di Pietrangeli, compreso l’ormai mitico “Io la conoscevo bene” – perché affronta con apparente modestia temi universali mascherandoli per banali, e usa linguaggi e motivi d’indagine propri del novecento, come quell’ attonita e comica inquietudine che ritroviamo in fondo alla storia dei nostri due miseri eroi.
Ettore Scola (Trevico, 1931) Prima di affermarsi come uno dei maggiori registi del cinema italiano, ha iniziato la sua attività prima come vignettista e quindi come sceneggiatore, firmando film per Totò, Pietrangeli, fino ad arrivare a quel capolavoro che è “Il sorpasso” di Dino Risi, con Gassman, nel 1962.
Antonio Pietrangeli (Roma, 1919-1968), come sceneggiatore partecipa ad “Ossessione” di Visconti, “Europa ‘51” di Rossellini, per poi passare alla regia. I suoi film maggiori: “Adua e le compagne” 1960, “Fantasmi a Roma” 1961, “La visita” 1963, “Io la conoscevo bene” 1965.
Il cast originale de “La visita” era composto da: Sandra Milo, Francois Perier, Mario Adorf, Didi Perego, Gastone Moschin.
“La Visita” è per molti versi il film più maturo di Scola e Pietrangeli, superiore agli altri per una intensità di scrittura secca e mai compiaciuta… ”
Georges Sadoul, Dictionnaire des Films.
La trama de “La Visita”: (dal Dizionario dei Film di Paolo Mereghetti):
In seguito ad un annuncio matrimoniale, tra Pina e Adolfo è nato un rapporto epistolare. Quando finalmente si conoscono, in occasione della “visita” di lui a casa di lei, viene a galla tutta la natura meschina ed egoista di Adolfo, povero commesso di libreria, e ogni cosa si spegne dopo una fugace notte d’amore e un commiato imbarazzato tra i due. Commedia amara tra le migliori di Pietrangeli, che sta dalla parte della protagonista, una donna “a mezz’aria tra il proletariato contadino e la piccola borghesia provinciale”, che cerca disperatamente di vincere la solitudine. Ma è con il ritratto dell’uomo – volgare, meschino, avido e ipocrita – che il film raggiunge le sue vette: né marionetta né mostro, Adolfo è nella sua banalità uno dei personaggi più neri che ci abbia mostrato la commedia in Italia, che proprio attraverso lui arriva a trasmettere allo spettatore punte di malessere inusitate, tanto più inquietanti perché nascono dalla semplice osservazione “neorealista” dell’umanità, senza nessun sovraccarico di sarcasmo e di grottesco…
TEATRO SALA UMBERTO
Dal 21 gennaio all’8 febbraio 2009
Anteprima 20 gennaio ore 21
Prezzi da 27,00 a 14,50 euro