Lunedi scorso, Il Sole 24Ore ha pubblicato, come tradizionalmente fa da qualche anno nel mese di luglio, la ‘sua’ classifica sul rendimento degli Atenei Italiani prendendo in esame una decina di indicatori: 1) la capacità degli Atenei di attrarre talenti (cioè studenti che hanno conseguito un voto alto di maturità); 2) capacità di attrarre studenti da fuori regione o stranieri; 3) dispersione degli studenti; 4) rendimento degli studenti; 5) regolarità negli studi; 6) numero di studenti in corso in rapporto al numero totale degli studenti; 7) tasso di occupazione dei laureati a tre anni dal titolo; 8) disponibilità di risorse per la ricerca in capo a ciascun ricercatore; 9) capacità di attrarre risorse extra FFO; 10) tasso di successo sui PRIN.
Ora si rende opportuna, oltre che doverosa, un’analisi più attenta e dettagliata da parte della nostra Comunità dopo il primo commento ‘a caldo’ da me fatto ad alcuni organi di informazione locale il giorno stesso della pubblicazione di questi dati da parte del giornale diretto da Roberto Napoletano. Ho convocato nella giornata di martedì il Consiglio dei delegati proprio allo scopo di verificare la coerenza dei risultati emersi con la percezione che costantemente abbiamo sull’efficacia della nostra azione per la crescita del capitale umano e sociale di questo territorio. Un territorio sempre più in difficoltà che pertanto ripone nelle attività della propria Università una speranza di riscatto sociale ed economico che la Comunità universitaria di Foggia non può deludere.
Dalla totalità di questi indicatori emerge un posizionamento generale del nostro Ateneo al 51° posto su 58 Atenei statali e situazioni differenziate nei singoli campi registrandosi non disprezzabili piazzamenti nei parametri 1, 5, 6, 9 e 10 e risultati effettivamente negativi nei parametri 2,3,4,7,8. La prima considerazione che emerge chiaramente è che non sia possibile credere che la totalità delle università generaliste del Sud sia gestita e presidiata da persone inadeguate agli alti compiti e responsabilità affidate. Conosco tutti i Rettori delle Università poste dal Sole24Ore agli ultimi posti e buona parte anche dei loro docenti e posso assicurare che tale differenza sostanziale con chi governa gli Atenei del Nord non emerge in alcun modo. L’assioma posto dal giornale confindustriale è quindi chiaramente dogmatico e tautologico ponendo molto più di un sospetto sull’adeguamento ‘a posteriori’ dei dati raccolti. A tal proposito, c’è da chiedersi perché Il Sole 24 Ore non abbia mai consentito agli Atenei una disamina approfondita dell’elaborazione da essi operata su dati provenienti da fonti molto differenziate (Miur, Almalaurea, Servizio Stella del Cilea, Istat).
Vorrei sottolineare, a tal proposito, che ciò che più conta per i giovani che si trovano in questi giorni a pensare al loro futuro e per i genitori a quello dei propri figli è sapere che i servizi resi dall’Università di Foggia siano stati apprezzati da coloro che li hanno preceduti (Almalaurea riporta che il 91% dei laureati nella ns Università – dato medio nazionale: 87% – si è dichiarato complessivamente soddisfatto del corso di studi offerto dal nostro Ateneo), che il 71% dei laureati specialistici hanno fatto esperienza di stage per un’azienda (dato medio nazionale: 54,5%), che, come riporta anche il Sole 24 Ore, 46,1 laureati su cento consegue il titolo nei tempi previsti (situazione che ci colloca all’8° posto a livello nazionale).
A tal ultimo proposito mi chiedo come si possa interpretare il dato che ci colloca tra le migliori università nel far laureare nei tempi giusti gli studenti più motivati ed essere, invece, tra le peggiori per il rapporto tra Crediti Formativi ottenuti e Crediti disponibili. Certo è possibile ma altamente improbabile perché vorrebbe dire che tutti coloro che non si laureano nei tempi sono dei pessimi studenti che conseguono pochissimi o nessun CFU nell’anno di riferimento, mentre è evidente che l’effettività è sempre nella media.
Il tasso di occupabilità a tre anni dal titolo è poi strettamente correlato al tasso di disoccupazione giovanile che, nella nostra Provincia, è tra i più alti d’Italia. In altri termini, crediamo che ciò sia dovuto in minima parte ad un nostro demerito visto che, al contrario, stiamo facendo ogni sforzo per favorire il placement dei nostri iscritti (il dato sugli stage è quanto meno significativo a tal proposito). La situazione generale sulla disoccupazione nella Provincia di Foggia è poi fortemente condizionante del dato sulla dispersione che non dipende dalla mancanza di attenzione da parte nostra verso lo studente neo immatricolato ma dalla scelta, evidentemente con mere funzioni ‘attendiste’ e quindi con scarsa spinta motivazionale, che molti fanno proprio perché hanno difficoltà a trovare lavoro.
Si consideri inoltre, come è stato lucidamente messo in luce dai colleghi Abramo e D’Angelo de lavoce.info, che “il sistema universitario pubblico italiano si è sviluppato sulla base del principio di non discriminazione, per cui a tutti gli studenti deve essere garantita, per quanto possibile, la fruizione di un’istruzione dello stesso livello qualitativo, qualunque siano censo e localizzazione territoriale”. L’Università deve essere il primo motore di mobilità sociale e Foggia ne è un esempio mirabile visto che ben 86 laureati su cento non ha i genitori con titolo di laurea (la media nazionale è del 75%). “In questo contesto”, continuano i due colleghi, “le capacità di ricerca e gestionali dovrebbero essersi distribuite in maniera omogenea, per cui una qualunque valutazione nazionale della ricerca dovrebbe dare esiti di sostanziale equilibrio tra le università pubbliche”. Dove emergessero differenze si dovrebbero allocare più risorse non alle migliori, bensì alle peggiori, affinché queste ultime possano recuperare il gap qualitativo.
E’ vero che tale sistema indurrebbe gli Atenei all’assunzione di comportamenti opportunistici che determinerebbero una dequalificazione del sistema, ma l’obiettivo di stimolare il miglioramento e l’allocazione efficiente non deve pregiudicare l’equità sociale. A tal fine bisognerebbe considerare alcuni fattori, primo fra tutti il “vantaggio di localizzazione”: università ubicate in aree ad alta intensità di ricerca industriale, beneficiando dell’effetto della prossimità territoriale, acquisiscono finanziamenti privati maggiori di altre. Cosi come non va sottovalutato “l’effetto Regione o Province autonome” in quanto è indubbio che alcune amministrazioni regionali distribuiscono risorse agli Atenei in modo più elevato di altre. Altro dato interessante da considerare è che le differenze di produttività di ricerca tra università sono relativamente molto più basse di quelle che si riscontrano tra il corpo docente all’interno di ciascuna università. Il che vuol dire che la differenza di produttività scientifica tra gli Atenei è poco significativa mentre molto rilevante è la presenza di larghe sacche di improduttività scientifica che andrebbero, al contrario, poste in rilievo anche per consentire agli Atenei di marginalizzare (e far uscire dal sistema) queste risorse e valorizzare le altre. Questo in parte noi lo stiamo già facendo con le risorse premiali per i progetti di ricerca di interesse nazionali valutati positivamente e non finanziati che ha determinato, infatti, negli ultimi anni una crescita considerevole del nostro Ateneo (sito quest’anno al 20° posto in questa speciale classifica del Sole). Ma questa politica di segmentazione delle risorse per la ricerca orientata verso i più produttivi determina, al contempo, il dato negativo delle disponibilità di fondi per la ricerca al singolo docente visto che Il Sole 24 Ore per l’indicatore 8 considera al denominatore la totalità dei docenti e quindi anche i meno produttivi.
Paradossalmente, quindi, come messo in luce da lavoce.info, “i top performer degli atenei con bassa performance, potrebbero ricevere meno fondi dei low performer degli atenei con performance più elevata”.
Sono queste le considerazioni che andrebbero fatte a beneficio della collettività e dell’opinione pubblica generale indotta invece a credere che l’unica speranza per i propri figli sia un’emigrazione intellettuale verso il Nord o verso l’estero depauperando sempre più il nostro Mezzogiorno e privandolo dell’unica vera sua ricchezza e speranza per il futuro: la creatività e l’intraprendenza delle proprie giovani intelligenze.
Il Rettore – Prof. Giuliano Volpe