Non c’è niente da fare, per quanto ci si sforzi, nulla di nuovo continua ad esserci sotto il sole. I nostri nonni lo avevano capito da tempo. Un antico adagio popolare, molto conosciuto tra gli ulivi secolari del Sud, recita: “Vattenn’ gran’, che int’ a l’oglie’ sta u mbroglie’!” (lascia perdere il grano, perché è nell’olio che si nasconde l’imbroglio). L’ultimo aggiornamento in materia, in arrivo infatti da Bruxelles, sembra confermarlo spudoratamente.
Si direbbe che la Commissione Europea soffra l’influenza dei grandi gruppi produttori greci, spagnoli e forse anche cinesi. Non si spiega altrimenti la bocciatura della difesa italiana della propria normativa, a tutela dell’obbligo di indicare l’origine in etichetta per l’olio d’oliva. Ci sarebbe da chiedere, in merito, il parere autorevole di Mario Monti ma l’argomento rischierebbe di essere tema alquanto “scivoloso”.
Sull’altare della libera concorrenza e dell’economicità, il sacrificio evidenzia il sapore acido della beffa. La normativa in essere consente di vendere come “italiano al 100%” anche l’olio ricavato da olive greche o spagnole, che sia stato lavorato e imbottigliato in Italia e che sia mischiato anche solo al 15% di prodotto italiano. Così come nulla potrà impedire, addirittura, che si continui a far transitare in alcuni Paesi della comunità europea l’olio extracomunitario, per venderlo a prezzi bassi come olio italiano.
I produttori nazionali sono, a ragione, imbufaliti. E i consumatori, non solo italiani, hanno di che temere. L’olio è il prodotto più contraffatto al mondo. La confusione regna sovrana e l’intervento di Bruxelles ne accentua l’opacità. A sentire il comandante dei Nas di Milano, col. Leopoldo Maria De Filippi, non c’è da stare affatto tranquilli: “Con l’importazione di olive e di olio non solo da Spagna e Grecia, ma soprattutto da Tunisia, Marocco e l’intera area nordafricana i controlli diventano ardui. Quando nei paesi d’origine non esiste, ad esempio, una normativa che qualifichi come extravergine solo l’olio al di sotto di una certa acidità, qualsiasi olio, una volta in Italia, può essere utilizzato, venduto e persino imbottigliato come olio d’oliva “italiano”.
Forse sarà il caso, finalmente, di votarsi ad una logica di sistema che superi la campanilistica guerra tra poveri e decidersi a difendere con più convinzione i nostri prodotti d’eccellenza, con un’accorta politica dei marchi. Altrimenti non resterà che spacciare per tali, anche da questi parti, “camamberre”, “fois gras”, “palle di toro” o “jamon de Salamanca” prodotti tra i trulli pugliesi, i fichi d’india calabresi, i fumi lavici dei pendii etnei o tra la pluriennale, creativa e sapiente furbizia dei quartieri napoletani.
di Antonio V. Gelormini