Ha un bell’affannarsi l’Assessore al Turismo della Regione Puglia, Massimo Ostillio, a vestire i panni di un moderno Ben Hur, per cercare di padroneggiare la quadriga del turismo regionale e farla volare con fatica verso il traguardo di un successo programmato. In grado di ripontenziare le capacità di attrazione delle sue destinazioni, ma soprattutto di qualificarne quelle adatte a trattenere turisti, viaggiatori e pellegrini.
Sarà pur vero che in Puglia come altrove, in genere al Sud, è piuttosto evidente il deficit di sensibilità verso la necessità di una logica di sistema. Così come è innegabile la dispersione di risorse e di sforzo creativo nel promuovere confusamente di tutto e di più. Ognuno, rigorosamente per proprio conto, ostinandosi a suonare una campana che a stento riuscirà farsi sentire al di là dei tetti della propria parrocchia.
Ma se il turismo pugliese non riesce a decollare, bisogna dircelo con franchezza, è perché soffre di una carenza di piglio imprenditoriale locale e perché preferisce sperare nell’avvento messianico di imprese e investitori terzi, a cui affidare le sorti di un ipotetico riscatto o rinfacciare le colpe dei concreti e ripetuti insuccessi.
Un paradosso accidioso, che non onora affatto la storica operosità delle formiche tanto care a Tommaso Fiore. Orgoglioso meridionalista d’altri tempi, che oggi farebbe fatica a riconoscere una Puglia più votata all’evanescente fascino di un casinò, che al nobile e dignitoso sudore di chi la fortuna era abituato a cercarla tra i solchi del Tavoliere, le pietre della Murgia o le fronde d’ulivo e gli scogli taglienti del Salento.
Troppe briglie lo tengono ancorato alle secche di una superba presunzione, impedendogli il volo liberatorio. Troppa speculazione teorica e poca proposta pratica. Troppi lamenti da cicale canterine e poca voglia di rimboccarsi le maniche. Gli stessi aiuti al settore andrebbero garantiti con più decisione e più congruità, ma anche con maggiori condizionamenti a concrete partecipazioni e a maggiore condivisione dei rischi d’impresa.
Il turismo da queste parti stenta a decollare perché il divario tra l’offerta di outgoing e l’attenzione all’incoming è quantomeno imbarazzante. Perché da tempo sono scomparse le code di tedeschi e di francesi dalle nostre autostrade. Perché i musei restano chiusi e quando non lo sono, raramente vivono di manifestazioni di spessore. Aspettano i visitatori e se non arrivano si chiedono perché rimanere aperti. Non decolla perché mentre ci sono zone d’Italia in cui lo spreco conta più aeroporti che voli, la Puglia conta il suo traffico aereo nei due scali di Bari e Brindisi, a 90 Km. di distanza l’uno dall’altro, e lascia il Gargano alla deriva di 3 ore di collegamento in pullman dal più vicino di essi. E poi ci si meraviglia se le Isole Tremiti preferiscono promuoversi col Molise.
Il turismo locale non decolla perché non è affatto vero che, oggi, esso non si conta più attraverso i posti letto, ma con le poltrone (aereo, nave, treno, pullman). Parametri validi nell’azione attrattiva delle macro destinazioni. Ma in quella più interessante del “trattenere” turisti, viaggiatori e pellegrini i posti letto e i servizi ristoro restano il caposaldo degli indici di gestione. Non a caso l’intramontabile scuola di formazione, di una multinazionale come Accor – Club Mediterranee, continua ad indicare nella “juornée hotelière (un pernottamento o due pasti) il parametro di valutazione per il calcolo delle presenze effettive.
Il turismo in Puglia resta imbrigliato a movimenti di prossimità e a una mancanza di rinnovamento anche degli stessi attori del settore. Dai Tour Operator a quelli che in politica sono comunemente definiti la “classe dirigente”. Fatte salve poche encomiabili eccezioni, tra cui spiccano realtà come Puglia Imperiale, Agestour o Nicolaus Tour, laddove si sia verificato è stato a scapito della professionalità e della competenza.
Una mancanza di dinamismo testimoniata, ad esempio, dal caso di una figura come il decano degli agenti di viaggio pugliesi. Non me ne voglia, nulla di personale. Ma quando ho cominciato ad operare nel turismo, circa 30anni fa, Franco De Sario era già dirigente regionale Fiavet. Ora, io comincio ad avere i capelli bianchi, sono cambiati tre Papi, cinque Presidenti della Repubblica e un’infinità di Presidenti del Consiglio e De Sario è sempre là, ai vertici del turismo pugliese.
Tutto questo avrà pure la sua parte di influenza sulle condizioni, relativamente brillanti, di quella che vorrebbe essere la sospirata frontiera dello sviluppo economico di questo territorio e, per altri versi, dell’intero Meridione. Perché il caso De Sario non è certamente l’unico.
E’ tempo di dar seguito alla consapevolezza che il futuro che ci riguarda dipende soprattutto, se non solo, dalla capacità di ognuno di noi di sapersi affrancare dalla tentazione di rimanere cicala e perpetuare l’atavico lamento. Tornare ad essere formiche sarà un passaggio ineludibile, per liberare finalmente al volo la “crisalide”.
di Antonio V. Gelormini