Avevamo appena ricordato, dopo il lieto evento di Betlemme, il primo martire dei cristiani, e ci si accingeva a celebrare i 60 anni della Costituzione Italiana, che ci tocca invece improvvisamente raccoglierci nel dolore, per celebrare una nuova martire della democrazia. Benazir Bhutto, la cicogna pakistana, la prima donna premier di un Paese musulmano, è caduta vittima dell’ennesimo fanatico attentato kamikaze, a due settimane dalle nuove elezioni politiche in Pakistan.
C’è già chi addita le mani insanguinate del Governo Musharaff o le canne ancora fumanti dei turbanti di Al Qaeda. Moderni Erode di una Terra senza promesse. L’attentato ad orologeria aveva fallito il bersaglio qualche mese fa. Una strage degli innocenti di 140 fra uomini e donne suoi sostenitori. Questa volta hanno fatto centro. Ma la novità di Rawalpindi è che stavolta non si tratta di un gesto di sfida o di un atto di intimidazione. L’assassinio di Benazir Bhutto è, invece, la testimonianza una grande paura.
Erode ha paura di questa sorta di “Madonna della democrazia”. Il suo sacrificio potrebbe dare linfa ai risentimenti celati dietro e sotto i veli di migliaia di burqa. La sua forza e il suo coraggio potrebbero diventare modello per milioni di mogli, di figlie, e di madri, da sempre relegate a sorbirsi i fondo schiena più offensivi dell’intera società islamica.
Nel bene o nel male, è dai tempi dei Giardini dell’Eden che nel gesto di una donna è racchiuso il segreto per stravolgere il mondo. Da oggi Benazir Bhutto sarà icona senza barba e senza baffi per l’Islam del futuro. La cui vera bomba atomica sarà racchiusa in quel trillo liberatorio, tipico di ogni donna musulmana, che darà voce a una costante e crescente consapevolezza. Sapere di essere l’autentico riscatto dell’Islam, in barba ad ogni antico o moderno profeta di sventura.
di Antonio V. Gelormini