Tanto per cominciare perché non si tratterebbe solo di Air France, ma del Gruppo Air France-Klm, le due compagnie più solide d’Europa (oltre Lufthansa) e tra le prime al mondo anche per la rete di traffico e di rotte collegate.
Perché se si è deboli, e Alitalia forte certamente non lo è, per crescere è meglio aggrapparsi a giganti come i francesi e gli olandesi, che agganciarsi al fusto esile di Air One. Nel nome di un’anacronistica tutela dell’identità nazionale, e nel più mondiale e globale dei settori economico-industriali. Alitalia è una grossa opportunità per la crescita di Air One, ma non è detto che Air One lo sia per quella di Alitalia.
La guerra dei cieli si combatte lungo le direttrici di “slot” internazionali e non certamente nei più modesti ambiti locali. La compagnia di bandiera è ambasciatrice del tricolore nel mondo, per le piazze e le strade italiane bastano i pennoni dei nostri monumenti. Per gli stessi aeroporti, Malpensa compreso, c’è più futuro nelle praterie celesti degli hub intercontinentali che nei mediocri recinti di casa nostra.
Quello che non si capisce è perché, anche da politici di consumata esperienza e con un accumulo impressionante di ore volo parlamentari, tra sistema tedesco, sistema francese o tedesco corretto alla spagnola, il modello straniero è insistentemente perseguito solo nelle dinamiche evolutive per l’assetto istituzionale del Paese. Mentre provoca una vistosa allergia alle provinciali difese nazionalistiche, per una compagnia aerea che, di per sé, dovrebbe avere lo sguardo rivolto oltre frontiera e rappresentare la quintessenza di una continua ricerca di internazionalizzazione.
di Antonio V. Gelormini