E’ illusorio chiedere solidarietà a chi da ore è in coda sulle tangenziali o in prossimità degli snodi autostradali. Velleitario aspettarsela da chi è costretto a rimanere a casa perché, senza preavviso, non trova più carburante alle pompe dei distributori. Diventa, poi, provocatorio aspettarsela da chi resta fuori dai cancelli, per mancanza di materiale e componenti necessari a garantire la continuità dei cicli produttivi.
C’è una buona dose di ipocrisia nel chiedere scusa a chi subisce amare conseguenze da uno sciopero a forti tinte selvagge, mentre si cerca di fargli credere che, in fondo, lo si sta facendo anche per loro. Il dato di fatto nuovo è che in tempi di contesti e sistemi globali, gli effetti di qualsiasi iniziativa non restano più circoscritti in ambiti predefiniti, ma si espandono e si propagano, in tempo reale, ben al di là del prevedibile.
Il blocco dei tir è devastante in genere, ancor più in una realtà come la nostra. Certamente una cosa non può essere negata: l’evidente disagio creato dal corto circuito tra le rivendicazioni comprensibili di una categoria (i camionisti) e la mancanza di lavoro sopraggiunta per altre squadre di operai, vittime delle ripercussioni di una protesta che rischia di mettere in ginocchio l’intero Paese. Le decisioni del Gruppo Fiat, che sospende alcune attività e mette in libertà oltre 22.000 persone, condannandole in realtà al limbo della disoccupazione, stanno a testimoniare tutta la drammaticità del conflitto in atto.
I camionisti non si comportino con l’arroganza di chi sa di guidare il mezzo più pesante, mentre si fa beffa dell’utilitaria che lo affianca. Rivendichi, pretenda, lotti e difenda tutto quanto ritiene ne valga la pena. Ma non lo faccia sulla pelle dei cittadini, nessuno più lui sa quanto pesi una solitudine alla disperata ricerca di una compagnia, che non sia quella virtuale di un ponte radio o quella sfuggente di improbabili lucciole notturne.
di Antonio V. Gelormini