Lo hanno tenuto nascosto a lungo, tutt’al più lo bisbigliavano appena. Ma da quando grandi dell’energia come Moratti, Api, Erg, Enel/Endesa o International Power e colossi della finanza del calibro di Falk, De Benedetti, Garrone o le mega banche d’affari internazionali, non nascondono più i loro ingenti investimenti nel settore, è diventato come il segreto di Pulcinella. L’eolico è la più remunerativa delle energie pulite.
L’intuizione di Oreste Vigorito, l’avvocato di Avellino diventato in breve tempo “l’accumulatore unico” dell’eolico italiano, oggi è un business da cogliere al volo. Proprio come il vento, con forza e agilità. La sua società, ora acquisita dagli inglesi di IP, è più grande della somma di Edison ed Enel. E dall’Irpinia ha aperto la strada ad una forma di investimento a cortissimo tempo di recupero.
Le chiamano “fattorie del vento”. Dispiegano le pale dei loro moderni mulini a vento lungo i crinali e nei tavolieri delle regioni del Sud, dalla Puglia alla Sicilia, dal Molise alla Campania e poi su fino alla Sardegna. Non solo perché il vortice avesse il suo occhio nella provincia di Avellino e non solo perché obiettivamente stiamo parlando di regioni ad alto tasso costante di ventosità. Ma anche, e forse soprattutto, per un fattore imponderabile di primo acchito, ma determinante nello sviluppo del fenomeno.
Per capirlo bisogna dotarsi di una cartina del Paese, con la suddivisione per territori demaniali di ogni singolo comune. Sarà facile notare la diversa densità, e di conseguenza la differenza numerica degli ambiti demaniali, tra le regioni del Sud (più alcune del Centro) e quelle del Nord e del restante Centro d’Italia. La partita dell’eolico si gioca sulla rapidità di creazione delle “fattorie”, che poi saranno vendute alle multinazionali dell’energia. Accordi e contratti con piccoli proprietari e Amministrazioni comunali devono viaggiare come e con il vento. Più il rapporto contraenti/territorio è conveniente e poco dispersivo, maggiore sarà l’interesse per le società installatrici. Più chilometri di vuoto separano un comune dall’altro, migliore sarà l’azione spazzatrice del vento, per evitare malcontento per l’intervento sul paesaggio e meticolosa attenzione alla negoziazione delle royalties.
Dove troppi galli cantano non fa mai giorno. Infatti, è nel silenzio della desolazione che il sibilo costante delle pale lavora meglio. E così dopo la risorsa lavoro, la risorsa risparmio e la risorsa grano, ora è la volta della risorsa vento ad essere incanalata sui percorsi per altrove. Domani toccherà al sole e poi ancora alle biomasse. Per l’eterna dannazione di un Sud fin troppo silenzioso.
di Antonio V. Gelormini