La nuova Xylella si chiama Greening e minaccia una coltura chiave per l’agronomia italiana, quella delle arance. La malattia è causata da un batterio e fa morire la pianta in pochi anni. L’insetto diffusore al momento si trova in nord e sud America ma il rischio si avvicina all’Italia: il batterio è stato infatti già intercettato in Egitto e isola di Madeira, anche se in forma sporadica. Non esistono specie resistenti né alcuna cura e quindi l’unica soluzione è giocare di anticipo

 

A cura di Matteo Beccatelli, CEO & Co-founder di Plantvoice

L’agrumicoltura italiana si trova di fronte a un’insidiosa minaccia: il Greening, una malattia letale che sta già devastando le colture agrumicole in diverse parti del mondo e che rischia di diventare la “nuova Xylella” per il settore. Causato dal batterio Candidatus Liberibacter e trasmesso da insetti vettori, questo patogeno compromette la produttività delle piante, portandole alla morte nel giro di pochi anni. Attualmente, il batterio è presente in Nord e Sud America, ma è stato sporadicamente intercettato anche in Egitto e isola di Madeira: segnalazioni che suggeriscono che il pericolo si sta avvicinando all’Europa e, di conseguenza, all’Italia. Con una produzione che rappresenta una fetta importante del mercato agrumicolo europeo, il nostro Paese non può permettersi di sottovalutare questa emergenza fitosanitaria. Purtroppo, non esistono ancora cure o varietà resistenti: l’unica strategia efficace è la prevenzione, con monitoraggi serrati, misure di quarantena e tecnologie avanzate per il rilevamento precoce. Riusciremo a proteggere le nostre coltivazioni prima che sia troppo tardi?

 

L’agrumicoltura in Italia: un settore di punta

 

La superficie coltivata ad arance in Italia – secondo la fotografia scattata dall’ultimo “Tendenze Agrumi” di ISMEA – ammonta a circa 86mila ettari ed è in lieve ripresa sia rispetto al 2022 (+1,1%) sia sul dato medio dell’ultimo triennio (+1,6%). La Sicilia copre i due terzi delle superfici coltivate ad agrumi, con oltre 50mila ettari dedicate a questo tipo di coltura. La produzione di arance per la campagna in corso è stimata in 1,6 milioni di tonnellate, in aumento del 20% su base annua, ma al di sotto della media delle ultime tre campagne. Si tratta comunque di un valore rilevante, soprattutto se confrontato con i 5,5 milioni di produzione complessiva in Europa. I maggiori concorrenti del nostro Paese sono Marocco, Sud Africa ed Egitto, dove i costi di produzione sono irrisori e i controlli sulle malattie sono scarsi o nulli. Ciò su cui noi possiamo fare la differenza è quindi proprio la qualità: in Sicilia in passato c’è stato già, nel caso degli agrumi, un profondo rinnovamento degli impianti attuato tra il 2007 e il 2010, a causa della diffusione del virus della “Tristeza”, che colpiva le piante innestate su arancio amaro. Di conseguenza, gli agricoltori hanno iniziato a utilizzare nuove varietà su portainnesti che, oltre ad essere resistenti al virus, garantiscono una chioma compatta e una maggiore qualità dei frutti.

 

Il batterio che arriva dalla Cina e minaccia il Mediterraneo

 

Proprio a causa dell’importanza che il comparto dell’agrumicoltura ricopre per l’economia italiana, questo “nuovo” batterio fa davvero paura. Nuovo per noi: perché in realtà il patogeno è stato documentato in Cina da oltre un secolo e ha infatti un nome tecnico cinese: Huanglongbing (HLB, malattia del ramo giallo), ma con il tempo il nome più comunemente utilizzato a livello mondiale per descrivere la malattia è Greening. Si stima che quasi 100 milioni di alberi siano stati colpiti in tutto il mondo dalla malattia causata dai batteri Candidatus Liberibacter, trasmessi dalle psille, piccoli parassiti fitomizi, che si nutrono della linfa delle piante attraverso l’apparato boccale pungente-succhiante e nel farlo diffondono il patogeno.

 

Tra i sintomi più evidenti vi è la presenza di rami gialli che si stagliano contro la vegetazione verde circostante. Le foglie mostrano maculature clorotiche asimmetriche con diverse sfumature di verde e giallo, mentre i frutti, specialmente di arancio dolce, mandarino e pompelmo, risultano piccoli, deformi e spesso asimmetrici. Con il tempo, l’intera lamina fogliare può ingiallire uniformemente o presentare sintomi assimilabili a carenze nutrizionali, rendendo difficile una diagnosi precoce.

 

Altre minacce in agguato per gli agrumi: le malattie da tenere d’occhio

 

Il Greening non è l’unica minaccia per l’agrumicoltura. Altri patogeni infatti stanno mettendo a dura prova le coltivazioni in diverse parti del mondo, e pur non essendo ancora arrivati in Italia, meritano un monitoraggio attento. Alcuni sono di origine batterica, altri fungina o virale, ma tutti hanno un potenziale impatto sulla produttività e sulla qualità degli agrumi.

Tra le malattie più temute c’è il Citrus Black Spot (Phyllosticta citricarpa), un fungo che provoca macchie nere sui frutti, compromettendone l’aspetto e la commerciabilità. Attualmente diffuso in Sudafrica e Australia, la sua eventuale diffusione in Europa richiederebbe misure di contenimento rigorose. Un’altra patologia sotto osservazione è il Citrus Canker (Xanthomonas axonopodis), un batterio che causa lesioni su foglie, rami e frutti, portando a una riduzione della produttività. Già presente in diverse aree del mondo, inclusi Stati Uniti e Sud America, è altamente contagioso e necessita di un attento controllo fitosanitario.

 

Tra le minacce di origine virale spicca il Citrus Leprosis Virus, trasmesso da acari e attualmente diffuso in Brasile. Questa malattia provoca necrosi su foglie, rami e frutti, compromettendo la salute delle piante. Un’altra patologia da tenere d’occhio è il Citrus Variegated Chlorosis (CVC), causato dal batterio Xylella fastidiosa subsp. pauca, che determina ingiallimenti fogliari e frutti di scarsa qualità.

 

Sebbene queste malattie non siano ancora presenti in Italia, la globalizzazione e il cambiamento climatico potrebbero favorirne l’arrivo nei prossimi anni. Per questo è essenziale mantenere alta l’attenzione e investire nella ricerca e nella prevenzione, strumenti fondamentali per garantire la sicurezza e la qualità della produzione agrumicola nazionale.

 

L’unica cura è la prevenzione: la tecnologia è una valida alleata

 

Per questi patogeni non esistono infatti cure efficaci. L’unica strategia per contenerli consiste nell’esclusione dei batteri e dei loro vettori attraverso rigidi protocolli di quarantena. Per quanto riguarda il Greening, ad esempio, in alcune aree del mondo ha dato risultati promettenti l’uso del controllo biologico per contrastare la diffusione della psilla asiatica degli agrumi, principale vettore del batterio responsabile della malattia. In particolare, l’introduzione dell’imenottero Tamarixia radiata, un parassitoide naturale della psilla, ha mostrato una significativa riduzione della popolazione dell’insetto in diversi Paesi, tra cui Stati Uniti e Brasile. Tuttavia, questa strategia da sola non è sufficiente a bloccare completamente la diffusione della malattia, poiché il batterio può essere trasmesso anche da psille che sfuggono al controllo biologico.

 

La prevenzione dunque è l’unica strategia efficace contro il Greening e altre gravi patologie che minacciano l’agrumicoltura. In questo contesto, le tecnologie sensoristiche giocano un ruolo chiave nel monitoraggio della salute delle piante e nell’ottimizzazione delle risorse. Diverse aziende, come l’australiana Hydroterra e l’americana Dynamax, hanno sviluppato soluzioni per misurare la quantità di linfa che fluisce in tempo reale nel fusto, ossia la sua velocità, sebbene con strumenti ancora invasivi e costosi. Più recentemente, realtà come Plantvoice hanno introdotto un sensore biocompatibile non invasivo (è infatti grande come uno stuzzicadenti) che oltre a vedere il flusso della linfa, riesce anche a determinarne la composizione. In questo modo è in grado di rilevare parametri vitali della pianta in tempo reale, contribuendo a una gestione più efficiente delle coltivazioni. Questi strumenti permettono quindi di individuare precocemente alterazioni riconducibili al patogeno e possono essere determinanti per identificare e isolare le piante malate. Grazie a queste tecnologie, gli agricoltori possono adottare strategie più efficaci per contenere la diffusione del Greening o di qualunque altro virus, riducendo al minimo i danni economici e ambientali e migliorando la produttività delle coltivazioni.