\"\"L’essere vicentino una qualche familiarità con l’oro glie l’ha conferita. Almeno nell’assetto cromosomico di base. Che poi questa, in Paolo Scaroni, attuale amministratore delegato dell’Eni, si sia manifestata in un’attitudine più consona a gestire le fluidità dell’oro nero, piuttosto che la duttilità del metallo nobile, è cosa che oggi torna preziosamente utile all’Italia intera.
 
La sua instancabile attività di ricerca e consolidamento di fonti di approvvigionamento di gas e petrolio, per il fabbisogno nazionale, lo porta a rivestire una delicata funzione di rappresentanza degli interessi del Paese, attraverso la tutela degli stessi azionisti dell’Eni e le legittime aspettative di risposta ai loro investimenti.
 
Eni e Ferrari rappresentano, oggi, nel mondo l’eccellenza italiana. Il rosso e il nero da tempo vincenti sul tavolo verde della globalizzazione. Però, la corsa verso quota cento dollari al barile, dovuta al vertiginoso aumento della domanda energetica, accelerata dal fabbisogno delle idrovore orientali di Cina e India, e all’impossibile adeguamento dei tempi di processo naturale per far fronte al rapido esaurimento delle riserve, rende molto più difficile e decisamente più necessaria la mission di Scaroni. Senza nulla togliere ai brillanti risultati di Montezemolo.
 
Ne è testimonianza la complicata trattativa col Kazakistan, relativa alla rinegoziazione dei diritti di sfruttamento del giacimento di Kashagan. Ma ancor di più il rinnovo per altri 25 anni, con i dirimpettai libici, delle concessioni per la ricerca e l’estrazione di gas e petrolio. Destinata ad incrementare la produzione odierna di circa 300mila barili al giorno. Una vittoria quasi sottaciuta, priva del palcoscenico mediatico della diretta tv.
 
I rapporti di buon vicinato, o come è solito chiamarli Romano Prodi “di prossimità”, alla lunga pagano. La Libia non dimentica. Nel bene e nel male la memoria del Colonnello Muhammar Gheddafi è lunga. E i motivi di reciproca collaborazione superano decisamente quelli di storica rivendicazione.
 
Era stata lungimirante la scelta politica degli anni difficili della ricostruzione e del boom economico, di mantenere sempre aperto il canale dei rapporti con i Paesi mediterranei a noi adiacenti. Una scelta certamente figlia dell’indole amica tipicamente italiana, che ha perso la sua vena conquistatrice con la caduta dell’Impero Romano. Ma anche la razionale conseguenza della consapevole e vitale dipendenza da risorse e fonti energetiche altrui, per lo sviluppo e la crescita della nostra economia.
 
Lo dimostra il pragmatismo asciutto di Paolo Sacroni, proveniente, come lui stesso sostiene, “dalla lezione di Enrico Mattei”. Una lezione elaborata ed assimilata, fino a far breccia nei sentimenti dei Paesi nostri interlocutori: “Nei loro confronti, che hanno qualcosa di cui noi abbiamo un gran bisogno, dobbiamo continuare a proporci come partner per il loro sviluppo, non solo come estrattori di qualcosa che sappiamo non essere nostro”.
 
Il rosso vince la gara tecnologica della modernizzazione, ma è sulle sorti del nero che da tempo si concentrano le puntate di una guerra economica, il cui futuro converge sempre più verso una lotta per sopravvivere.
 
di Antonio V. Gelormini

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