Il 10 ottobre si avvicina. Il referendum tra i lavoratori sul protocollo col Governo, accettato dalle parti sociali e relativo al capitolo welfare è alle porte. Ma queste al momento restano rigorosamente chiuse, perché il dibattito all’interno delle assemblee è piuttosto animato.
A Fiat Mirafiori, per esempio, i toni sono accesi. La discussione non è affatto una formalità e i leader sindacali sono mobilitati, per garantire quel consenso necessario ad evitare che le spallate, provenienti dalla minoranza più radicale (Fiom), mandino all’aria il risultato di un lavoro volto a salvaguardare in particolare le fasce più modeste. Ma soprattutto ad evitare che un’eventuale bocciatura possa diventare il canto del pro fundis per il Governo.
La paura fa novanta e Romano Prodi cerca di esorcizzarla: “Il protocollo è un documento serio, che aiuta, a mio parere, l’avanzamento del Paese. Mi aspetto che i lavoratori votino liberamente, ma mi auguro che si rendano conto di come sia un protocollo attento ai diritti dei più deboli”.
A buttare benzina sul fuoco, invece, è Fausto Bertinotti che, dando voce a quanti non si danno ancora per vinti, dice chiaramente: “Da osservatore mi pare che la partita sia aperta”. E scatena le reazioni allarmate di Lamberto Dini ed Emma Bonino, disposti a contenuti interventi di maquillage e contrari ad ogni operazione di modifica sostanziale dell’accordo da tutti sottoscritto a luglio.
Il momento è davvero delicato se anche il presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, ha ritenuto necessario intervenire anche lui a sostegno del protocollo, ma con un’inedita apertura alla detessazione dei salari dei lavoratori. Giordano apprezza e incassa l’apertura. Dal cilindro del presidente Prodi sembra spuntare un altro coniglio, che già intenerisce il segretario di Rifondazione comunista: “Cogliamo positivamente la disponibilità a un confronto democratico sul tema del risarcimento sociale al lavoro dipendente, della riforma del welfare e della lotta alla precarietà".
di Antonio V. Gelormini