Non gli va giù. La storia della Fiat è anche lui, l’astro Marchionne non riuscirà ad offuscare Cesare Romiti. Questo è un Paese che dimentica facilmente e finché ci sarà, continuerà a rivendicare scelte e azioni, che a suo tempo incisero non poco nel futuro del più importante gruppo industriale italiano.
Non sopporta che l’approdo odierno della Fiat sia ritenuto “un posto migliore, molto migliore di quanto non sia mai stata”. E di non vedersi riconosciuto il coraggio “degli anni del terrore, quando cadevano Ghiglieno e Casalegno e quando fare impresa, andare in ufficio o in fabbrica equivaleva a mettere in gioco la propria vita e quella dei collaboratori.
Un coraggio rispettabile. Il coraggio di chi giocava o era costretto a giocare in difesa, ma francamente un coraggio diverso da quello indicato da Sergio Marchionne. Decisamente più aggressivo e soprattutto votato ad un’azione di attacco asfissiante, dinamica e costantemente innovativa.
Molto più efficace, invece, lo stimolo del Grande Cesare di Mirafiori, che aveva fatto della diversificazione delle attività la cifra caratteristica della sua Fiat. Tanto da entrare in conflitto aspro con l’allora management del settore auto, il cui apice portò alle clamorose dimissioni di Vittorio Ghidella. Se la Fiat di Marchionne si concentra con evidente successo sull’auto, forse è arrivato il momento di pretendere più coerenza. E dopo la formalizzazione del ritiro dall’azionariato di Mediobanca, “perché non si cede anche la partecipazione in Rcs?”
Capitolo piuttosto delicato, visto che l’azienda torinese è proprietaria anche di una prestigiosa testata come la Stampa. Un argomento, quello delle dismissioni degli asset terzi, rispetto al core business, più volte affrontato e auspicato anche da Alessandro Profumo, a proposito delle partecipazioni bancarie nei giornali e in tutto quello che non è “banca”. Alla predica ed alle buone intenzioni di Marchionne e Profumo, Cesare Romiti e non solo lui aspettano ora di veder seguire i fatti.
di Antonio V. Gelormini