di Marco Merlo Campioni, CEO di save NRG
Il riutilizzo delle materie prime ricoprirà un ruolo sempre più cruciale nel paradigma di sviluppo – economico, sociale, ambientale – dell’Italia e dell’intero continente europeo. Questo perché, da un lato è un modello che consente di ridurre la necessità di estrarre nuove risorse dal nostro ambiente limitando i danni irreparabili agli ecosistemi e all’equilibrio ecologico che un’attività di estrazione può causare. Dall’altro, è l’unica alternativa a due debolezze strutturali del nostro Paese: la dipendenza energetica e il rischio di fornitura delle materie prime “critiche” dall’estero.
Due dipendenze che sono direttamente connesse tra loro: non possiamo raggiungere l’autonomia energetica, grazie, anche, agli investimenti nelle energie rinnovabili, se non ci svincoliamo dalla dipendenza estrattiva, dai Paesi extra-UE, delle risorse necessarie per il loro sviluppo tecnologico. Motivo per cui la richiesta di materie prime critiche, già alta, è destinata a crescere ulteriormente nei prossimi anni. Senza queste risorse non sarà possibile sviluppare le soluzioni tecnologiche necessarie per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal Green Deal europeo e dal Piano d’azione per l’economia circolare (CEAP). Dati alla mano, si stima che, entro il 2030, l’Europa avrà bisogno di 18 volte più litio e 5 volte più cobalto, rispetto ai livelli attuali, proprio per la produzione di batterie destinate sia ai veicoli elettrici che per lo stoccaggio dell’energia. Un fabbisogno che, nel 2050, aumenterà sino a richiedere 60 volte più litio e 15 volte più cobalto rispetto ad oggi.1
In questo scenario, l’UE e i suoi Paesi membri stanno lavorando per promuovere l’innovazione, la ricerca e lo sviluppo di alternative o di strategie al fine di garantire un approvvigionamento sostenibile di queste risorse. Ciò include il miglioramento dell’efficienza nell’uso delle materie prime, il riciclo e il recupero di tali materiali da fonti esistenti secondo i principi dell’economia circolare così da evitare le criticità, ambientali e sociali, che l’estrazione mineraria comporta. L’alto rischio di pressioni sui costi nella catena di approvvigionamento, causato dalla concentrazione su alcuni paesi detentori della maggior parte di risorse minerarie e manifatturiere mette, infatti, a rischio l’intera stabilità della filiera. Basta guardare i numeri: la Cina fornisce all’Unione Europea circa il 98% delle terre rare, la Turchia il 98% del borato, il Sudafrica il 71% del platino e una percentuale ancora più alta per i materiali del gruppo del platino: iridio, rodio, rutenio. Il litio è fornito al 78% dal Cile, mentre il reperimento di alcune materie prime critiche con l’afnio e lo stronzio dipendono da singole aziende europee.2
Se la transizione energetica è l’unica via di sviluppo percorribile, è altresì vero che abbiamo bisogno di una fornitura costante di materiali e materie prime critiche che non può, però, essere raggiunta attraverso l’attività estrattiva.
Aspetti che l’UE ha messo a fuoco nel recente studio “Un passaporto digitale dei prodotti per il riutilizzo e il riciclo di materie prime critiche” cercando, così, di prospettare una soluzione normativa volta a promuovere le best pratice di economia circolare lungo le filiere produttive. Secondo lo studio, l’implementazione di un passaporto digitale per i prodotti favorirebbe l’adozione di tali pratiche perché riporterebbe informazioni come dichiarazioni sui materiali, aggiornamenti sullo stato del ciclo di vita e segnalazioni relative all’estrazione dei componenti di tali risorse. In questo modo, il prodotto diventa universalmente identificabile e le sue informazioni accessibili sia offline che online attraverso un portale web su Internet.
Tuttavia, affinché il passaporto digitale possa essere effettivamente realizzato, è necessario superare alcune criticità. In prima battuta si dovrebbe puntare sull’aumento del riciclo e riutilizzo dei RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche), fonti importanti di materie prime critiche. I RAEE sono destinati ad aumentare se si pensa alla progressiva riduzione dei tempi di obsolescenza tecnica degli apparecchi elettrici: si stima che, a livello globale, stiano crescendo a un ritmo di oltre 2 milioni di tonnellate all’anno.3
Sicuramente, la complessità crescente dei prodotti da riciclare e il trattamento improprio dei rifiuti elettronici sono due problematiche che ostacolano un sistema di riciclo efficiente e sostenibile. Da un lato, c’è la tendenza alla miniaturizzazione e alla miscelazione di materiali che complicano il processo di riciclo. Dall’altro, c’è il problema del trattamento e dello smaltimento, spesso inadeguato, dei rifiuti elettronici. Ad esempio, alcune operazioni di riciclo non conformi, possono portare a perdite di materiali preziosi o alla dispersione di sostanze pericolose nell’ambiente. Un’osservazione che ci dà la misura della scarsa consapevolezza sul corretto smaltimento dei rifiuti elettronici.
Indubbiamente l’adozione di un passaporto digitale per i prodotti rappresenta un’opportunità per lo sviluppo dell’economia circolare all’interno del continente europeo. Non solo: la sua normalizzazione favorirebbe una consapevolezza di massa sulle tematiche relative alla sostenibilità. Un cambiamento culturale che accompagnerebbe, in modo positivo, anche quello economico. Al momento, però, non mancano le criticità da risolvere per la sua implementazione. L’UE sta, infatti, raccogliendo dati e suggerimenti dai diversi settori produttivi per riuscire ad inserire il passaporto in un sistema normativo adattabile alle attuali condizioni del mercato. Il tutto, senza rinunciare agli obiettivi di sostenibilità e di net-zero emission al 2050. Un’altra sfida da superare per il benessere socioeconomico globale.