E’ andato giù pesante il presidente della Commissione parlamentare Antimafia, Francesco Forgione, deputato eletto nelle file di Rifondazione Comunista in Sicilia, nell’accusare il sistema bancario italiano: “La rete più estesa di connivenza con gli interessi finanziari della mafia”.
Dopo la presa di posizione di Confindustria, per isolare gli imprenditori che accettano di pagare il pizzo, la denuncia del presidente Forgione tende a stimolare la reazione del sistema finanziario. Uno dei “santuari del mercato”, divenuto a suo giudizio un vero e proprio network di lavatoi, in grado di ripulire gli ingenti capitali provenienti dai traffici più illegali.
L’accusa mette in evidenza l’insignificante denuncia, da parte delle banche, di operazioni sospette. A cui va ad aggiungersi l’impossibilità di utilizzo, per carenza legislativa, di strumenti efficaci come l’anagrafe dei conti correnti e l’anagrafe degli immobili. In pratica, si ripunta il dito contro “il porto delle nebbie” degli intrecci tra banche e mafia, la cui ombra minacciosa rimanda spesso al ponte dei Frati Neri a Londra ed alla triste fine del banchiere Guido Calvi.
Pretendere una serie di procedure e di documenti per le piccole operazioni di sportello (vedi versamenti anche di modesta entità), per ragioni inerenti controlli antimafia, e negoziare senza sospetto, per via telematica, le vere operazioni in questione, è come decidere di combattere gli elefanti con gli stuzzicadenti.
Sarà pur vero che il potente capo mafioso, dal suo rifugio di campagna, muoveva mezzo mondo col solo utilizzo dei “pizzini”. Ma pensare di far fronte al fenomeno malavitoso con la semplice fotocopia del documento allo sportello di una banca o l’annotazione dei numeri di serie delle banconote versate, è un’offesa all’intelligenza anche del più modesto di tutti noi.
di Antonio V. Gelormini