Stima della Fondazione nazionale dei commercialisti sulla base di un sondaggio tra gli iscritti alla categoria. Nel 2021 effetto “bolla” creato dalle misure agevolative del Governo, ma nel 2022 per il 29,3% di questa tipologia di impresa è altamente probabile un aumento del rischio di solvibilità. 445 mila i dipendenti interessati. Ancora troppo contenuto l’accesso agli istituti di composizione della crisi e agli aiuti antiracket e antiusura. I professionisti: “Promuoverne la conoscenza per sbarrare la strada alla criminalità organizzata e risolvere la crisi di cittadini, piccole aziende e professionisti”
Roma – Circa 371.500 imprese non fallibili, pari al 29,3% del totale di questa tipologia di imprese, potrebbero trovarsi in grave difficoltà economica nel corso del 2022. Si tratta di piccole imprese che danno però lavoro a oltre 445 mila dipendenti. E’ la stima effettuata dalla Fondazione nazionale dei commercialisti sulla base di un sondaggio realizzato su un campione significativo di iscritti alla categoria professionale, finalizzato a valutare l’impatto della crisi pandemica su questa realtà. I commercialisti stimano anche che i soggetti non fallibili in attività, con esclusione dei professionisti e degli enti non commerciali, siano circa 1,27 milioni a cui fanno riferimento oltre 1,5 milioni di addetti.
Dal sondaggio emerge l’importanza dell’effetto “bolla” generato su queste realtà imprenditoriali dalle misure di sostegno pubblico: se da un lato non si è ancora registrata un’esplosione di insolvenze aziendali, dall’altro lato, considerata la temporaneità degli interventi medesimi, appare altamente probabile che si concretizzi un aumento del rischio di solvibilità legato alla progressiva riduzione dei sostegni economici. È accertato, infatti, che un elevato campione di imprese versava in situazioni di crisi già prima di essere travolta dall’ondata pandemica, il che rende ancor più verosimile ipotizzare un incremento delle insolvenze una volta che le misure di sostegno – tramite le quali, realtà già deteriorate sono rimaste in vita – verranno allentate.
IL SONDAGGIO
Dalle risposte fornite dagli intervistati risulta come, a poco più di un anno dall’inizio della pandemia, solo poche imprese non fallibili hanno cessato l’attività e pochissime hanno fatto ricorso a procedure di sovraindebitamento o a soluzioni stragiudiziali. Sono invece molte le imprese che hanno rinegoziato il canone di locazione dell’immobile commerciale o che hanno fatto ricorso ad ammortizzatori sociali o che hanno subito un calo di fatturato significativo ed anche quelle che hanno fatto ricorso a prestiti garantiti. Considerando gli intervistati che hanno dichiarato che l’impatto negativo della pandemia ha riguardato più del 25% delle loro imprese clienti, la percentuale più alta si registra per il calo di fatturato superiore al 30% nel 2020, seguita dal ricorso a prestiti garantiti dallo Stato e dal ricorso ad ammortizzatori sociali. In tutti e tre i casi le percentuali sono abbastanza vicine e si collocano poco al di sopra o poco al di sotto del 60%. Più bassa, invece, la percentuale di chi ha ottenuto la rinegoziazione del canone di locazione.
In particolare, i Commercialisti del campione per i quali il 25% e più delle loro imprese clienti ha subito una perdita di fatturato superiore al 30% nel 2020 sono il 61,7%. Per il 46,8%, invece, più di un’impresa su quattro versa in uno stato di grave difficoltà economica, mentre per il 46,6%, più di un’impresa su quattro tra quelle loro clienti nel 2022 si troverà ancora in uno stato di grave difficoltà economica.
Il confronto territoriale mostra differenze significative solo nel caso del calo di fatturato. Mentre, infatti, chi dichiara questo tipo di impatto per il 25% ed oltre delle imprese non fallibili loro clienti è pari al 61,7%, lo stesso dato scende al 57,2% al Centro-nord e sale al 70,5% al Sud con un divario di 13,3 punti percentuali. Per il 46,8% del campione, poi, la situazione patrimoniale, economico e finanziaria attuale delle imprese non fallibili è definita “grave” per il 25% e oltre della clientela. La stessa percentuale, però, scende al 39,5% nel Centro-nord e sale al 61,7% nel Sud con una differenza di 22,2 punti percentuali. Interrogati, invece, sulla possibilità che le imprese non fallibili loro clienti debbano far ricorso al sovraindebitamento e risultino, quindi, insolventi entro la fine dell’anno, l’8,8% dichiara il 25% e oltre. Percentuale, questa che sale al 13,1% nel Sud contro il 6,5% nel Centro-nord. La stessa percentuale risulta pari al 46,6% laddove il campione viene interrogato sullo stato di difficoltà economica atteso per il prossimo anno (42,2% nel Centro-nord e 56% nel Sud).
Commercialisti del campione per i quali il 25% e più delle loro imprese clienti ha subito l’impatto negativo della pandemia
Modalità di risposta |
Italia |
Centro-Nord |
Sud |
Ricorso a sovraindebitamento |
2,4% |
1,4% |
4,1% |
Ricorso a soluzioni stragiudiziali |
2,8% |
2,5% |
3,4% |
Rinegoziazione canone di locazione |
26,7% |
28,9% |
22,8% |
Calo di fatturato 2020 > 30% |
61,7% |
57,2% |
70,5% |
Ricorso a prestiti garantiti |
59,7% |
60,5% |
57,4% |
Ricorso ad ammortizzatori sociali |
57,5% |
58,3% |
55,6% |
Imprese attualmente in stato di grave difficoltà economica |
46,8% |
39,5% |
61,7% |
Stima imprese in sovraindebitamento entro il 2021 |
8,8% |
6,5% |
13,1% |
Stima imprese in stato di grave difficoltà economica nel 2022 |
46,6% |
42,2% |
56,0% |
PROMUOVERE LA CONOSCENZA DEGLI ISTITUTI DI COMPOSIZIONE DELLA CRISI
“Il sondaggio – commenta Massimo Miani, presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti – mostra come, sebbene attualmente la situazione di difficoltà sia ancora sotto controllo, una prima, ancora abbastanza contenuta, ondata di insolvenze potrebbe generarsi nella seconda metà del 2021, per poi dilagare nel corso del 2022 e negli anni seguenti. Quando la “bolla” degli aiuti governativi esploderà la situazione potrebbe degenerare con conseguenze economicamente disastrose”. Miani ricorda come nell’ultimo anno il Consiglio Nazionale dei Commercialisti abbia “profuso grande impegno per instaurare una collaborazione sinergica con le istituzioni volta a sostenere le difficoltà economiche e finanziarie anche dei piccoli imprenditori e a offrire loro soluzioni utili per affrontare la crisi prima che questa diventi irreversibile”.
Valeria Giancola, consigliere nazionale della categoria delegata al sovraindebitamento, sottolinea come dal sondaggio emerga anche “la necessità di insistere nell’attività di promozione, conoscenza e diffusione delle potenzialità, in termini di esdebitazione, che la legge n. 3/2012 può offrire ai soggetti in stato di sovraindebitamento tramite l’ausilio degli Organismi di composizione della crisi. L’accesso agli istituti di composizione della crisi presso gli OCC costituiti negli Ordini locali dei commercialisti, dimostrano, infatti, un utilizzo contenuto di tali procedure durante la fase pandemica. Bisogna promuovere la conoscenza di questi istituti e degli aiuti antiracket e antiusura per sbarrare la strada alla criminalità organizzata e risolvere la crisi di cittadini, piccole aziende e professionisti”. “I procedimenti destinati a risolvere le crisi dei soggetti non fallibili devono essere considerati come un’importante risorsa per la ripartenza del Paese ed è necessario lavorare affinché gli istituti previsti dalla normativa sul sovraindebitamento vengano fortemente semplificati per favorirne il concreto utilizzo”, conclude Giancola.
QUALI SONO LE IMPRESE NON FALLIBILI
Per imprese non fallibili si intendono le imprese agricole e le imprese commerciali che non sono soggette alle disposizioni sul fallimento. Con riguardo a queste ultime non sono soggetti alle disposizioni del fallimento e del concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale, i quali dimostrino il possesso congiunto dei seguenti requisiti:
a) aver avuto, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito della istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore ad euro trecentomila;
b) aver realizzato, in qualunque modo risulti, nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di fallimento o dall’inizio dell’attività se di durata inferiore, ricavi lordi per un ammontare complessivo annuo non superiore ad euro duecentomila.
c) avere un ammontare di debiti anche non scaduti non superiore ad euro cinquecentomila.