Roma, La Fondazione Finanza Etica (FFE – Gruppo Banca Etica) è intervenuta come azionista critica all’assemblea generale di Acea spa del 27 aprile scorso, e in quella sede aveva già evidenziato che nei bilanci della società del periodo 2012-2015 mancano all’appello investimenti in manutenzione, condotte idriche e fognarie e altre infrastrutture per circa 375 milioni di euro da parte di Acea Ato 2 (la controllata di Acea che gestisce la distribuzione dell’acqua a Roma e in altri 110 Comuni).
Le domande poste da FFE durante l’assemblea non hanno ancora ricevuto risposte, mentre le drammatiche conseguenze della scelta di remunerare azionisti pubblici e privati invece di investire nel miglioramento della rete sono ora sotto gli occhi di tutti: il razionamento dell’acqua a Roma è stato scongiurato, con un compromesso trovato in extremis ai danni dell’ecosistema del lago di Bracciano, già messo duramente alla prova dalla siccità, dall’evaporazione causata dal sole e dai prelievi operati da Acea per rifornire di acqua la capitale.
Una lettura affrettata dei fatti potrebbe far pensare che Acea sia vittima di eventi climatici che non può influenzare, ma in realtà la faccenda è più seria e va al di là pure del semplice scontro politico tra Regione Lazio e Comune di Roma.
Acea spa gestisce il sistema idrico della capitale ed è controllata al 51% dal Comune di Roma e al 49% da investitori privati, i principali dei quali sono il gruppo francese Suez (23%) e la famiglia Caltagirone (5%). La multiutility si è ridotta ad essere dipendente dal lago di Bracciano, che doveva servire solo per le emergenze, perché non ha investito abbastanza nell’approvvigionamento da fonti alternative, ma soprattutto perché non ha investito per diminuire le perdite della rete romana, che sono pari al 40% del volume di acqua distribuita.
Nel triennio 2012-2017, mentre Acea tagliava le risorse destinate alla manutenzione della rete, gli utili di Acea Ato 2 sono progressivamente aumentati: dai 48,37 milioni di euro di fine 2011 ai 70,70 milioni di euro del 2015. Visto che si tratta di un business completamente regolamentato, l’aumento dei ricavi e degli utili si spiega quasi esclusivamente con un aumento del costo dell’acqua in bolletta per i cittadini. Un aumento che non è stato però accompagnato dagli investimenti promessi e ha quindi inciso positivamente solo sui profitti dell’impresa e dei suoi azionisti.
Nel 2016 l’utile netto di Acea Ato 2 è salito ancora, toccando gli 89,85 milioni di euro (+86% rispetto al 2011), grazie soprattutto a un aumento nelle tariffe giustificato da un “premio di qualità contrattuale” per 23,06 milioni di euro.
“Non solo Acea non fa gli investimenti previsti per il miglioramento della rete idrica ma si paga anche un premio per la qualità dei servizi erogati. Oltre al danno la beffa. I maggiori utili di Acea Ato 2, ottenuti grazie ad aumenti tariffari che non si accompagnano agli aumenti previsti degli investimenti, sono poi quasi interamente distribuiti ad Acea SpA, e quindi al Comune di Roma, ai francesi di Suez e a Caltagirone, che non si limitano a incassare i dividendi ma li reintroducono in Acea Ato 2 come crediti, su cui la controllata paga poi interessi di mercato. Pagare interessi sui propri utili è una perversione. Una delle tante che stanno strozzando Acea Ato 2 e l’acqua di Roma. Con o senza i cambiamenti climatici”, dice Andrea Baranes, presidente della Fondazione Finanza Etica. “Dal 2008 Fondazione Finanza Etica partecipa come azionista critico alle assemblee delle società italiane quotate in borsa. Nel 2017 abbiamo deciso per la prima volta di intervenire – insieme ai Movimenti per l’Acqua Bene Comune – all’assemblea di Acea SpA perché era evidente che la situazione stava diventando preoccupante”.