La volontà di questa breve lettera nasce dalla consapevolezza di quanto sia sempre più necessaria e urgente la ricerca di destinatari e interlocutori ai quali affidare una riflessione comune, ed eventualmente condivisa o discussa, su questioni significative e controverse che riguardino il mondo della scuola e dell’istruzione. Una volontà sovente mortificata o anche inibita dalle speciosità quotidiane affrontate da chi opera in questo settore, o avvilita dai luoghi comuni che tristemente e frettolosamente sminuiscono un sistema, quello scolastico, che mostra certamente lacune e criticità talora rilevanti, ma che nella sua complessità offre elementi di positività in molti casi entusiasmanti e però spesso taciuti. Una vitalità e fecondità di percorsi e operati che pure esistono se il sistema scolastico italiano appare, per esempio nel giudizio e nel confronto con la scuola pubblica all’estero, addirittura un modello noto e apprezzato.
A margine dunque di generici discorsi, una genericità che nasconde spesso insidie più fuorvianti dei percorsi che ne sono obiettivo di critica, su una cattiva cultura come frutto di un miope sistema scolastico, bisogna pure celebrare degnamente alcune verità, se non altro per onorare, in questi giorni, e fuori da schemi retorici e tentazioni agiografiche, la memoria e i mondi di uno dei più tenaci assertori di una parola giusta e onesta, Stefano Rodotà, l’insigne giurista cosentino appena scomparso, sostenitore convinto della rivalutazione degli strumenti culturali ed etici attivi già in modo importante in molte nostre scuole.
Perché confesso che a me pare cattiva cultura, o giudizio lontano da una verità più profonda, anche la valanga di polemiche e la superficialità corriva dei giudizi, vere e proprie fake news, diffusi in questi giorni in occasione della divulgazione della prova ministeriale di analisi del testo poetico di Giorgio Caproni, proposta per gli esami di Stato in corso di svolgimento. Un autore improbabile, si è decretato, perché assente dai programmi dell’ultimo anno della scuola superiore, licei compresi. Insomma un tam tam del tipo ‘Caproni, chi era costui?’, di manzoniana memoria, solo che lì, come forse anche ora, il Carneade in questione valeva a sottolineare la pochezza di prospettive del personaggio e i limiti di una sterile erudizione come maschera di una sostanziale ignoranza.
Mentre quel clima si va lentamente (e fortunatamente) stemperando, resta tuttavia la percezione, aspra e forte, di un’immagine dell’istituzione scolastica fragile e vacua. Altro, evidentemente, da quella palestra di formazione di habitus mentali articolati e ricchezza emozionale, di fecondo esercizio di humanitas e condivisione, che essa è o dovrebbe essere, anche nel senso ampio e ricco che, tra gli altri, il sociologo Pierre Bourdieu annette al lemma habitus.
Forse perciò può essere utile segnalare un dato in controtendenza, che valga soprattutto a confermare l’esistenza e la possibilità di alcuni felici percorsi di maturazione di un sapere scolastico costruttivo e non esornativo, ispirato allo sviluppo di competenze importanti, spendibili in ogni modalità e circostanza di approfondimento e crescita culturale, quale può essere anche la prova di un esame. Una prova così significativa se si tratta di saggiare le capacità maturate da uno studente in merito alla lettura e comprensione di un testo letterario, nella richiesta di dimostrazione del modo in cui se ne siano colti e interiorizzati strumenti e finalità, mettendo in opera le conoscenze acquisite sulle specificità del linguaggio poetico e di quello narrativo, sui rapporti che legano significato e significante e che un autore pone in essere per comunicare ad un livello altro rispetto a quello del linguaggio ordinario. Forse è proprio per questo che, negli ultimi anni, sempre più spesso il Ministero propone, nella prima prova degli esami di Stato, autori che esulino dal programma scolastico, saggiando così la sensibilità di lettura autonoma conseguita dagli studenti, un patrimonio poi attivo in un futuro in cui quei giovani sceglieranno magari professioni diverse, restando pur sempre lettori attenti e consapevoli di un testo, e in definitiva della realtà.
Fuori da ogni polemica, o da sterili vanti, ma solo nel senso di una speranza nei futuri percorsi della formazione dei nostri giovani, segnalo quindi che quasi un’intera classe, 20 su 26 allievi, e diversi altri studenti del Liceo Classico “Bernardino Telesio”, che ho l’onore e il privilegio di rappresentare, ha ritenuto l’opzione Caproni perfettamente disponibile, malgrado il suo record negativo di preferenze su scala nazionale, forse il più basso rispetto alle percentuali già esigue circa la scelta dell’analisi del testo negli anni precedenti. E, forse, è il caso di ricordare che si tratta della medesima classe già prevalsa, con un primo e secondo posto, su grandi licei nazionali, come il Beccaria, il Virgilio, il Leopardi ed altri, nel certame, vertente sull’analisi di un testo del poeta Vincenzo Cardarelli, altro autore ‘fuori programma’, tenutosi a Tarquinia nell’aprile scorso. La Calabria, in qualche modo, si tratterà solo di una coincidenza, sembra quindi riconoscere Caproni ancora una volta nei suoi meriti poetici, dopo avergli già conferito, anni addietro, il prestigioso Premio Ibico di Reggio.
Invero, per uno studente maturo e ben formato, la lettura e l’analisi di un testo rappresentano la ricerca di un colloquio che gli consente di ritrovare sé stesso, anche a prescindere dalla previa conoscenza biografica dell’autore. Si tratta infatti, nella scelta dell’analisi, e in generale nella lettura di un testo letterario, della fruttuosa messa in campo di competenze, sensibilità e prospettive, di cui la scuola dovrebbe essere luogo di potenziamento e sviluppo, necessarie per accedere all’immaginario e al mondo emozionale di coscienze diverse, un confronto dal quale si ritorna alla realtà arricchiti culturalmente e umanamente. Attraverso la scelta di questa prova, lo studente-lettore, infatti, si rapporta alla sua propria identità, non come espressione della sua soggettività separata, bensì come capacità di individuare e comprendere, entro la dinamica creativa del testo, una coscienza altra, una diversa prospettiva temporale e culturale. Mondi e vite, quelle di un classico, senza fine. In questa tensione verso lo specchio dell’alterità, egli può sperimentare sé stesso nella differenza di una “formazione a due” e nello spazio platonicamente silenzioso della scrittura, affidandosi alla prova, quasi una sfida, della parola altrui. Uno spazio che egli stesso contribuisce a costruire, reinventandolo nel dialogo tra le anime ed esaltando la virtù della letteratura quale vita reale che prende possesso e coscienza morale e culturale di sé.
Indubbiamente, uno studente maturo e ben formato.
Antonio Iaconianni
dirigente scolastico Liceo Classico Telesio, Cosenza