Il numero degli investitori italiani cresce di giorno in giorno. Sono sempre più i risparmiatori che decidono di far fruttare quanto accumulato per garantirsi un avvenire più sereno. Il mercato finanziario propone disparate offerte e servizi estremamente differenti tra di loro, ma gli italiani non hanno dubbi sulla scelta.
Secondo il rapporto stilato da Moneyfarm, società italo-britannica di consulenza finanziaria indipendente dagli istituti bancari, i nostri connazionali gradiscono maggiormente soluzioni come i fondi data target: si tratta, di fatto, di quei fondi a scadenza o a finestra, la cui strutturazione italiana consente a chi li gestisce o a coloro che distribuiscono il prodotto di ottenere una marginalità più cospicua. Il meccanismo che consente questa plusvalenza è quello delle commissioni di collocamento ma è qui che “compare” la prima stranezza, visto che i vantaggi sembrano non riguardare direttamente i clienti. Guardando infatti alla strutturazione dei fondi data target, l’investitore resta vincolato in maniera abbastanza rigida, e la scelta degli asset non sempre si rivela adeguata all’orizzonte temporale stabilito. Il successo commerciale di queste forme di investimento ha anche modificato la proposizione e gli archetipi che costituiscono le fondamenta del meccanismo legato ai risparmi, ma, in un paradosso che sembra tutto italiano, a guadagnarci non è chi investe, ma solo collocatori e gestori.
La chiave del successo sta nell’operazione che ha reso possibile l’occultamento delle commissioni d’ingresso agli occhi degli italiani che decidevano di tradurre i propri risparmi in piccoli guadagni. Nel momento dell’ingresso in un fondo, il cliente non riusciva infatti a vedere che la società che lo gestisce forniva a chi ha proposto e promosso il servizio una percentuale che si attestava attorno al 4%. Una quota che nella realtà viene sottratta nel tempo, mascherata dietro i vincoli temporali e dilazionata in piccole percentuali. Il cliente, dal canto suo, ha più difficoltà a disinvestire, in quanto vedrebbe trattenuta una parte dell’ammontare come commissione di uscita. Questa condotta ha mascherato per anni i costi agli investitori, mentre nel contempo la rete di distribuzione si alimentava con una serie di commissioni mal camuffate.
Quel che emerge dalla analisi di Moneyfarm è che negli ultimi anni gran parte degli investitori hanno accettato un termine temporale che celava un vero e proprio vincolo, che ha costantemente rimpinguato in maniera progressiva le casse degli istituti erogatori. Per una maggiore trasparenza, si poteva spiegare al cliente che tale vincolo era funzionale a sostenere i costi di servizio e il modello di vendita, mentre si è preferito controllare con largo anticipo i flussi in entrata e in uscita per un maggiore controllo. Ad aggravare la situazione, una strategia scarsamente ottimizzata dal punto di vista degli asset: tra i fondi più venduti si nota infatti che la promessa di un adeguamento dell’asset al location all’arco temporale non è quasi mai stata rispettata. Molti strumenti avevano una scadenza differente da quella del fondo e non si percepiva una graduale diminuzione dei rischi. A ciò si aggiunge anche una garanzia di remunerazione periodica che in realtà può anche non verificarsi, aprendo persino a scenari di capital gain in caso di esito negativo del portafoglio.
Lo scenario disegnato assume contorni importanti e al contempo preoccupanti, se si pensa che solo nel 2015, secondo Assogestioni, i fondi a finestra hanno raccolto oltre il 70% dell’intero mercato finanziario, e la situazione è rimasta immutata anche nel 2016. I fondi a scadenza rappresentano quindi uno dei più grandi punti interrogativi all’interno del mercato italiano, e sono ancora in tanti a chiedersi quali vantaggi siano applicabili al risparmiatore in considerazione della struttura di suddetti prodotti finanziari.