gatta_fundraisingQuando ero ancora una studentessa, cantavo nel Coro Polifonico delle Università di Napoli. Una delle cose che ci insegnò il Maestro è che esistono alcuni brani rispetto ai quali bisogna essere attenti, attivi e scattanti; questa tensione, necessaria per l’esecuzione del brano, non ha a che vedere tanto col tempo, non significa eseguire il brano di corsa ma piuttosto essere vigili e reattivi durante tutta la sua esecuzione in modo da non avere sbavature.

Mi capita a volte di incontrare persone che vivono l’ansia della raccolta fondi; spesso si tratta di organizzazioni che non hanno mai fatto prima fundraising in maniera strutturata e costante, magari hanno ottenuto anche qualche buon risultato in termini economici ma senza capitalizzarlo in termini umani e sociali; arrivati ad un bivio della loro storia associativa, dinanzi ad un grande progetto/sogno che richiede uno sforzo economico più spinto, decidono che è arrivato il momento del fundraising (ne hanno sentito parlare bene!). A questo punto però non hanno tempo per pianificare, ricercare, comunicare e costruire, devono solo raccogliere. E allora eccoli che si lanciano in attività disparate e sconnesse, che a volte si allontanano dalla mission, non rispondono ad obiettivi specifici e soprattutto non sono coerenti dal punto di vista della sostenibilità economica.

Per fare fundraising devi sicuramente vivere la tensione della raccolta, non intesa però come fretta di racimolare soldi, piuttosto intesa come consapevolezza del fatto che senza le giuste risorse (anche economiche) non si può realizzare la propria mission. La ricerca di donatori non può e non deve coincidere con la realizzazione del proprio obiettivo economico ma bensì col coinvolgimento nella propria causa sociale: prima di ricercare soldi è opportuno ricercare persone. Ma ricercare persone richiede un tempo che spesso non coincide con quello del bisogno economico. E dunque come fare? La risposta è sempre la stessa: pianificare, ricercare, comunicare e costruire, sebbene per fare tutto questo ci voglia tempo. Viceversa il rischio è quello di fare come la gatta frettolosa e di partorire dei figli (donatori) ciechi. Un donatore cieco è colui che magari ti ha anche sostenuto economicamente una tantum, ma non sa chi sei, non ti vede, non è capace di descriverti. L’hai partorito in fretta e quindi non ti sei preso il tempo per farlo crescere nella consapevolezza dell’importanza di ciò che fai. In questo caso si, il tempo sarà determinante per la tua organizzazione; per rimanere in tema di proverbi: il tempo distrugge le cose costruite senza tempo.

In fondo penso che anche nel fundraising valga quella regola imparata alle prove di canto corale: stai teso, stai attento, sii scattante ma soprattutto datti il giusto tempo per l’esecuzione del “tuo brano” !

Valeria Romanelli

R&Rconsulting