È nullo l’accertamento fiscale cosiddetto “Redditometro” effettuato nei confronti del contribuente se l’Ufficio non valuta con attenzione la sua reale situazione economica, anche alla luce delle disponibilità economiche familiari.
A tali conclusioni è giunta la Commissione Tributaria Provinciale di Sondrio (sent. CTP di Sondrio n.24/2/11, liberamente visibile su www.studiolegalesances.it – Sez. Documenti), la quale, in una recente sentenza, chiarisce espressamente che “l’applicazione acritica e tabellare dei parametri costituisce … ormai solo PRESUNZIONE SEMPLICE di maggior capacità reddituale, e quindi contributiva, e che per trovare efficace applicazione ai fini del recupero di imposta deve essere accompagnato e sostenuto da verifiche di fatto circostanziate e documentate circa la effettiva e reale capacità reddituale del soggetto verificato”.
Alla luce della predetta considerazione, viene quindi riconosciuto il valore meramente presuntivo di tale tipologia di accertamento prevista dall’art. 38, comma 4, del DPR n.600/73.
Ovviamente, occorre evidenziare come tale strumento accertativo sia cambiato a seguito delle novità introdotte dal Decreto Legge n.78/2010, il quale ha sostanzialmente mutato la logica del controllo che dall’anno d’imposta 2009 è passata dall’equazione possesso di beni=ricchezza alla valutazione accurata delle spese sostenute quale indice di capacità contributiva (ossia calcolo induttivo della ricchezza attraverso le spese).
Ora, indipendentemente dal fatto che tale modifica abbia portato o meno ad una maggiore precisione di questo strumento di controllo, ciò che preme evidenziare è che si tratta pur sempre di uno strumento che necessità anche oggi del necessario confronto con il contribuente, in modo che questi possa giustificare eventuali spese che potrebbero apparire incoerenti con il proprio reddito.
Nel caso indicato in sentenza, ad esempio, l’Agenzia non aveva voluto considerare la situazione economica complessiva della famiglia del contribuente (trascurando il reddito del coniuge) e dunque non adattando l’accertamento fiscale alla realtà dei fatti.
Secondo i giudici di Sondrio, invece, “questi elementi di buona capacità reddituale del nucleo familiare consentono ampliamente, a parere di questo Collegio, la capacità di spesa emergente dall’accertamento”.
Ci si augura, dunque, che tale sentenza possa valere come monito per l’Agenzia delle Entrate a non applicare in modo freddo e acritico lo strumento del redditometro ma a valutare attentamente la situazione specifica del contribuente. D’altronde, la presente posizione è stata ribadita nei mesi scorsi anche dalla Suprema Corte (si veda sent. Cass. n.23554/2012).
In ogni modo, per evitare contestazioni da parte dell’ufficio delle entrate il consiglio è sicuramente quello di aumentare la propria tracciabilità nei pagamenti di tutti i giorni.
Ciò vale sia per gli acquisti in prima persona e sia anche per i pagamenti effettuati da terzi a favore del contribuente. Una tipico esempio può essere quello delle bollette pagate da familiari e/o conviventi. Infatti, può succedere che le utenze siano intestate a un coniuge ma in realtà le spese siano sostenute da entrambi o addirittura dall’altro. Ebbene, in tutti questi casi è importante che il reale pagatore eviti di pagare in contanti onde evitare una presunzione di sostenimento delle spese in capo all’altro coniuge.
Lo stesso discorso a maggior ragione può valere nei casi di donazione (si pensi ad esempio a delle somme regalate dai genitori ai figli). Ebbene anche in questo caso è consigliabile che tutto possa risultare da apposito bonifico, in modo da giustificare eventuali richieste di chiarimenti da parte dell’Agenzia delle Entrate al beneficiario.
Alla luce di quanto illustrato, pertanto, se da una parte è vero che è necessario un utilizzo attento da parte dell’ufficio di questo strumento accertativo, dall’altra è altrettanto importante che il contribuente comprenda l’importanza di agire con la massima trasparenza.
Avv. Matteo Sances