Trovare lavoro oggi per i giovani è complicato ma per un ragazzo omosessuale lo è ancora di più: la probabilità di essere richiamato per un colloquio diminuisce infatti del 30% rispetto a candidati eterosessuali. Le donne, invece, pur non essendo penalizzate come gli uomini dal proprio orientamento sessuale, subiscono l’effetto dell’aspetto fisico: le donne meno attraenti, infatti, sono richiamate per un colloquio con una frequenza inferiore del 18%, mentre quelle più attraenti hanno maggiori possibilità, ma solo per lavori meno qualificati. Al contrario le donne attraenti ma anche più qualificate risultano penalizzate.
Sono questi alcuni dei risultati emersi dalla ricerca dal titolo “Dimensioni inesplorate della discriminazione in Europa: religione, omosessualità e aspetto fisico” coordinata da Eleonora Patacchini dell’Università “La Sapienza” di Roma presentata questa mattina a Trani nel corso del quattordicesimo convegno europeo della Fondazione Rodolfo Debenedetti dal titolo “Le diverse dimensioni della discriminazione”.
Nel corso della giornata è stata presentata anche la ricerca coordinata da Giovanni Peri, dell’Università di Davis California intitolata “Il gap salariale nella transizione tra scuola e lavoro” che ha studiato la discriminazione di genere nell’accesso al mercato del lavoro e nei livelli reddituali in Italia, guardando in particolare al segmento più istruito della popolazione e alle scelte di studio di uomini e donne.
È emerso che le donne ottengono risultati scolastici migliori degli uomini sia ai licei che in tutte le facoltà, incluse quelle a indirizzo scientifico. Anche il voto di laurea è mediamente più alto, mentre la durata degli studi universitari è più breve di tre mesi. Eppure esiste un ‘gap salariale’ tra uomini e donne, solo in parte spiegabile dal fatto che le donne tendono a scegliere indirizzi umanistici (che tipicamente danno accesso ad occupazioni più remunerative). Risulta così che, anche in un segmento di popolazione relativamente benestante ed istruito come quello analizzato nella ricerca, le donne guadagnano circa il 37% in meno degli uomini.
Nella sua introduzione, Tito Boeri, direttore scientifico della Fondazione Debenedetti, ha invece presentato dei dati che mostrano come gli immigrati, soprattutto di prima generazione, ottengano voti scolastici inferiori rispetto alle loro effettive capacità (certificate, queste, dai test PISA dell’OCSE).
«Volevamo capire – ha spiegato Boeri – come le competenze e le conoscenze sono riconosciute dal mercato del lavoro in relazione al genere, alla razza, all’etnia e all’orientamento sessuale; i risultati delle ricerche presentate oggi confermano il perdurare di meccanismi discriminatori a danno di specifici gruppi di lavoratori, come donne, omosessuali e immigrati. Il problema è che in Italia manca una cultura e una giurisprudenza adeguata anti-discriminazione».
Carlo De Benedetti, presidente della Fondazione Rodolfo Debenedetti, ha sottolineato che «i costi economici della discriminazione sono altissimi, perché vengono escluse dal mercato del lavoro fasce di popolazione che potenzialmente possono dare un grande contributo alla collettività».
Durante la mattinata, è stato proiettato un video-intervento di Elsa Fornero, Ministro del Lavoro, Politiche Sociali e Pari Opportunità. “E’ sul lavoro che si giocano le pari opportunità – ha spiegato Elsa Fornero –. Il Ministero è presente su questi temi con le sue attività normative. Tuttavia, anche le migliori norme non bastano se non incidono sui comportamenti e sulla cultura. Il punto non è l’ampliamento delle norme esistenti, ma un’educazione alle diversità. Sotto questo profilo, il nostro paese mostra ancora una grave arretratezza culturale”.