Il governo tedesco dieci anni fa varò un provvedimento per sostenere le industrie del settore “new economy” e per evitare un crollo occupazionale. Il provvedimento era fondato su incentivi mirati al  re-indirizzare la produzione di silicio dal settore elettronico a quello dei pannelli fotovoltaici e, nello stesso tempo, mirava a creare un mercato interno che soddisfacesse tale produzione, obbligando l’installazione sulle nuove costruzioni pubbliche.

Grazie a queste due decisioni congiunte la Germania era diventata la leader europea in materia di fotovoltaico sia per quanto riguardava la potenza installata sia per lo sviluppo delle industrie locali.

In gergo tecnico, la situazione appena descritta si chiama politica industriale, coniugata in un piano energetico-industriale.

Stigmatizzando la situazione italiana, bisogna evidenziare che tutto ciò non è stato fatto per assoluta miopia del sistema, e da ciò deriva la nostra posizione subalterna e secondaria in materia.

L’Italia è puramente un mercato di installazione, ma non di produzione, ricerca, sviluppo e tecnologia, in altre parole di tutte quelle attività ad alto contenuto di innovazione e di produzione di benessere reale.

Oggi la situazione sta cambiando, la Germania, gli Stati Uniti e il Giappone stanno perdendo colpi a vantaggio della Cina che è la vera potenza industriale del settore fotovoltaico e delle FER “Fonti Energetiche Rinnovabili” in genere.

La maggioranza dei pannelli fotovoltaici è prodotta in Cina ivi compresi quelli installati in Europa. Il costo dei pannelli cinesi è del 50-60% più basso di quelli tedeschi, e non si parla di costo assoluto ma di costo per watt di potenza prodotta.

La Cina ha fatto quello che la Germania aveva fatto dieci anni fa, con la piccola differenza che quest’ultima aveva utilizzato degli incentivi statali, mentre in Cina è stato tutto mosso dalle regole più ferree del liberismo capitalista.

Sono state le industrie europee a delocalizzare in Cina la produzione della manifattura elettronica, perché ciò garantiva margini di profitto maggiori, ed inoltre a livello macroeconomico si garantiva un acquisto di beni durevoli da parte delle popolazioni europee senza un pericolo di inflazione.

Successivamente è arrivata la crisi finanziaria del 2007, che se da un lato ha travolto gli Stati Uniti e l’Europa, dall’altro ha risparmiato la Cina che aveva accumulato surplus di denaro dovuto alla crescita spaventosa del PIL e dell’export e che, solo in parte, aveva investito in titoli di stato americani ed europei. La Cina, dunque, in questo modo si è posta come l’attore geopolitico principale del quadro economico mondiale.

Nel frattempo si era dato il via alla costituzione di aziende cinesi per la produzione di pannelli fotovoltaici, che dopo le olimpiadi di Pechino del 2008, ha subito un’accelerazione dovuta alla questione ambientale.

Da allora i piani cinesi sono quelli con più denaro investito: basti pensare al sostegno alla mobilità elettrica, che ha un peso di 1,5 miliardi di euro, così come il piano di incentivo rinnovabili che è il doppio di quello degli Stati Uniti.

Durante il 2011, il costo dei pannelli cinesi è sceso del 50%, inoltre le aziende hanno iniziato a spostare la propria produzione in Vietnam e Malesia, puntando ad abbassare i costi e a investire in componenti differenti, mentre le aziende europee sono cadute in una profonda crisi.

Sotto questo punto di vista sembra non esserci nessuna soluzione, ma in realtà c’è ancora una possibilità, ma dobbiamo svegliarci dal torpore nel quale siamo stati assopiti a causa dell’assuefazione alla droga degli incentivi.

La soluzione è quella di comprendere e reinterpretare il tutto,  un salto di concezione enorme, non più una tecnologia energetica e basta, ma un modo di pensare, di vivere, ragionare e approcciarsi alla vita e ai problemi quotidiani, “un salto sociologico”.

Dobbiamo puntare ad una correlazione tra design e efficienza, tra qualità di vita e produzione di energia, su questo lo stile di vita italiano è maestro e dobbiamo cercare di plasmarlo anche nel mondo energetico, solo in questo modo potremo dire: “ll domani appartiene a noi”.

 

 

Orazio Buonamico

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