Mademoiselle di Enrico Fraccacreta (Ellerani Editore pp.70, € 14,00) è un canto all’amore coniugale, con i tratti di una terrena devozione: alla moglie, al paesaggio che risuona della sua presenza, al tempo condiviso nel fuoco calmo delle stagioni. Un atto di fede nella donna, che si manifesta come un’aurora spirituale. La bellezza che ti cammina accanto e ti solleva dal peso dell’io. Perciò, la definizione di poesia amorosa qui non è del tutto calzante: Mademoiselle comunica una religione della vita, in cui ogni istante, ogni frammento dell’essere appartengono alla dimensione del sacro. Attraverso una tessitura che ha i suoni attutiti del pudore, senza esclamativi. Elemento proprio della poesia di Fraccacreta, la mancanza di sovraccarichi emotivi, anche nelle immagini più fortemente espressionistiche. Nella premessa, l’autore dichiara l’intenzione di “raccontare” la storia di una galassia sentimentale, declinata non più al passato, come nei libri precedenti – le liriche di Tempo medio e di Camera di guardia; la prosa poetica de Il giovane Pazienza -; ma al presente. Il presente, che non nega la memoria, ma le dà sangue nel quotidiano. Ritornando al paesaggio, Fraccacreta ne definisce l’essenza nella natura, in senso biologico e metafisico: l’esistenza delle piante e degli animali, nominati nella specie come fenomeni della creazione. Gli alberi e gli uccelli escono dalla nudità del simbolo – vedi le metafore “naturalistiche” di Carducci; gli uccelli primi pensieri del mondo di Caproni -, per avere un segno individuale, quasi un’identità: Gli ulivi non dicono bugie / custodiscono a gennaio gli uccelli di campagna / ma la dispensa dei passeri al risveglio / è il melograno spaccato dall’inverno / tra le ali che sfrecciano sicure / dai rami spogli ai frutti denudati / rossi come un cuore aperto / che lascia volare via tutte le speranze… Nella silloge, la natura non è mai un fondale che decora la messinscena, ma un soggetto con una voce propria, modulata in variazioni polifoniche. La donna amata, nascosta nel nome-senhal, è una presenza quasi sempre silenziosa: attraversa il paesaggio in un riflesso corporeo, che non lascia impronte, non spezza rami. Eppure rimane protagonista della rappresentazione, si aggira nella realtà trasmettendole una vibrazione vitale: Oggi in campagna scoppiano i papaveri / solo perché da quando sei arrivata / la faccia della terra sta arrossendo / nella veste di pianura che si stringe / al monte delle spalle scollinando / sul sentiero dove sento scricchiolare / gli ulivi che si voltano a guardarti… È la risonanza del mondo al passaggio della donna; il segno di cui parlava il Montale de Le occasioni, che in Fraccacreta ha impresso una traccia profonda. Alfonso Gatto, parlando della poesia d’amore, affermava la necessità di un “fisico”, cioè di una verità materiale, nella relazione tra la parola, che dialoga con l’amato-assente, e la memoria, che ne riconosce la presenza nelle cose. Come a sostenere la condizione esistenziale della lirica nel desiderio, ovvero il rimpianto di chi non c’è. Allora non resta che parlare all’assenza, interrogare una stanza vuota o – direbbe Carifi – gli oggetti che ti hanno conosciuto, / che insieme a me ti videro fiorire / nell’erba inaridita. In Mademoiselle assistiamo al movimento opposto: il personaggio dominante passa sulla scena in un riverbero sensoriale, catturato in gesti minimi, nei dettagli illuminati dallo sguardo. È una poesia viva nel presente, perché lo scrittore è in colloquio continuo con chi ama e con sé stesso. Il canzoniere, specie nella prima parte, è ricco di parole appartenenti all’area semantica dello scoppio-esplosione come momento della venuta al mondo. La germinazione è il gesto creativo della divinità, che attraverso il poeta esprime il ruolo della natura, soggetto lirico, mai arredo letterario: Ti ho vista passare sull’inverno / in mezzo all’esercito dei mandorli / nel giorno che s’accendono i paesaggi / bruciando la nuova primavera / esplodono insieme ai tuoi lampeggi / se decidi di starmi più vicina / fiorendo d’improvviso come i mandorli… E ancora: Oggi in campagna scoppiano i papaveri / solo perché da quando sei arrivata / la faccia della terra sta arrossendo / nella veste di pianura che si stringe / al monte delle spalle scollinando / sul sentiero dove sento scricchiolare / gli ulivi che si voltano a guardarti… La sezione centrale, la Geografica, apre squarci cantabili da prosa poetica, dove balenano l’ironia in vernacolo e la boutade epigrammatica. Ma la scrittura ritrova subito lo zampillo originario, si contrae nel suo nucleo musicale. Per dire che nell’opera convivono più registri, senza stridori, perché ogni componimento ha una sua coerenza, sia che affiorino l’endecasillabo e la rima, sia che il verso si snodi nel riposo del parlato. La morte ha un ruolo fecondo nel quadro interiore. Anche per lei, come per la sposa e per la vita, il poeta ha un sorriso di abbandono. Evocata soprattutto nelle luminescenze mistiche delle ultime pagine, l’ospite in ombra pianta un seme luminoso di rinascita nello scolorire degli anni: … tu non hai premura di passare / dal ramo al confine dell’inverno / aspetti che il mio mondo si risvegli / nel dispendio della vita tieni un posto / badando di salvarlo nella neve. È la rivelazione del divino nell’amore umano e nella natura.
di Canio Mancuso