Terra di vento, di sole e di risacca marina. Terra nient’affatto silenziosa, quella di Puglia, le cui colline sono palcoscenico a cielo aperto di un unico, incessante e ammaliante frinire. Cicale, durante i giorni afosi d’estate, e grilli nelle notti calme e piene di stelle, quando tra filari e i solchi crustacei la vigna matura. Terra d’imperatori, di contadini e d’infedeli, segnata da ambizioni, da tradimenti e dedizioni. E mai “terra di re”, perché terra abituata a condividere, a contaminarsi ed a guardare negli occhi i suoi “signori”, tenendo ben alta la testa, per meglio scrutare il proprio orizzonte.
Terra amara e dolce, temprata da un sole inclemente e attraversata dal soffio notturno di antiche brezze orientali. Terra nobile dentro, che l’approdo leggendario e valoroso di un “Ellenico” rese feconda e ventre accogliente di fruttuosi “virgulti”. I suoi ambasciatori più autoctoni: Primitivo, Negramaro e Nero di Troia, per secoli hanno dato lustro a blasoni viti-vinicoli più aristocratici, prima di trovare, “in purezza”, autonoma e adeguata dignità identitaria.
Una corte dai riflessi prestigiosi, per far da corona alla discendenza più nobile della famiglia dei “rossi meridiani”: quella del tralcio Aglianico, che dal Vulture all’Irpinia, dalla Murgia al Salento ha affinato nei secoli l’insigne lignaggio. Per cui, se il Barolo è indiscutibilmente il re dei vini, l’Aglianico può decisamente definirsi il vino “viceré”. Non perché secondo al solenne rosso piemontese, ma in virtù di un titolo tra i più tipici nella storia del Mediterraneo, autenticamente meridionale e dalla spiccata risonanza ispanica.
Una rotta linguistica che, nel percorso dei secoli, si fa sintesi odissea (quindi leggendaria) nella Terra di Enotria, per declamare il vitigno diomedeo Ellenico con l’accento tardo-aragonese, che lo trasforma in Aglianico, per via della doppia “l” pronunciata gli nella fonia usuale spagnola. Per la verità, la ricerca presenta anche un solido riferimento all’arrivo del vitigno dall’antica città di Elea (Eleanico), sulla costa tirrenica della Campania. O ancora, un più complesso e virtuoso intreccio contaminante con le radici di profonda tradizione toscana.
Una storia antica quanto il mondo, la relazione multiculturale tra Puglia e Toscana. Uno scambio intensissimo lungo sentieri oleari, viti-vinicoli ed anche dialettali. Che spingono i salentini a darsi tonalità da “fiorentini del sud”; la struttura organolettica dell’oliva locale conferire nuova verginità agli oli toscani; e a supporre la gemmazione binaria di Aleatico e Aglianico da uno stesso ceppo, magari Ellenico, approdato sulle coste tirreniche: meta etrusca di antiche rotte mediterranee.
La pulizia del colore rosso rubino, l’intensa gamma di riflessi che spazia dalle giovani sfumature violacee a quelle più arancioni dopo l’invecchiamento, l’olfatto ricco e fruttato, l’accentuata pruinosità degli acini profondamente blu, la potenza elegante di un gusto che, al tempo stesso, è morbido e giustamente tannico, sono tutti “punti di contatto” di un’impronta longeva comune e di nobile appartenenza.
Tra le eccellenze pugliesi di questa impegnativa ma gratificante frontiera aglianica, spiccano il Bocca di Lupo – Castel del Monte D.O.C. (100% aglianico) e il Trentangeli – Castel del Monte D.O.C. (aglianico-syrah-cabernet sauvignon) delle Cantine Tormaresca di Minervino Murge; l’Emmaus – Aglianico Puglia IGT (90% aglianico-10% primitivo) degli antichi vigneti della Masseria “Le Fabriche” di Maruggio nella Murgia Tarantina e la proposta biologica dell’Amorosso – Aglianico D.O.C. (100% aglianico) prodotto ad Acerenza (Pz) per le Cantine Diomede di Canosa di Puglia.
Declinazioni di una testimonianza persistente di quel prezioso patrimonio tramandatoci ed affidatoci, per certi aspetti ancora da scoprire, salvaguardare e valorizzare, per trasmetterlo “arricchito”, e non certo immiserito, alle future generazioni. Quelle dei figli dei nostri figli!
di Antonio V. Gelormini