E’ fatta! Il cerchio è chiuso. Il Ring è stato completato. Cosa non facile in soli tre anni e mezzo. Bari e il suo Nuovo Teatro Petruzzelli ascendono nell’Olimpo dei palcoscenici operistici internazionali. La sfida è stata vinta, a pochi giorni dal ventennale del rogo maledetto e di quell’altro drammatico e indimenticabile “Walhalla”, dal coraggio e dalla pervicacia di alcuni uomini che, già allora, si dissero: “Indignati, ma non rassegnati”.
Col Crepuscoli degli Dei (Götterdämmerung) il “viaggio” nell’immensità compositiva di Richard Wagner giunge a una meta storica. “Restituendo alla città e al suo Teatro”, come ha detto Giandomenico Vaccari, artefice e nocchiero dell’impresa insieme al Maestro Stefan Anton Reck, “il pensiero drammaturgico e musicale di quest’opera antologica e del suo straordinario autore”.
Un viaggio che ha toccato la sponda del Teatro Piccinni col Prologo dell’Oro del Reno (2008), l’ansa della Fiera del Levante con La Valchiria (2009) e l’approdo finalmente al Petruzzelli per Sigfrido (2010) e Il crepuscolo degli dei (2011). Una metafora rigeneratrice dal respiro epico ampio ed articolato, che la regia di Walter Pagliaro ha reso moderna, vivace e sostenibile, nonostante i tempi impressionanti dell’azione scenica.
Un percorso lungo e necessario, per dar modo al declino di un “potere sbagliato”, fondato su “valori” negativi come la malvagità, la falsità, la cupidigia, il raggiro o l’individualismo, anziché su “virtù” e principi solidali, di implodere inesorabilmente. E crollare sotto i colpi consapevoli di una emancipazione dell’umanità dagli dei. Non attraverso l’agire eroico di un solo uomo, Sigfrido (Jan Storey), la cui invulnerabilità risulterà ben presto relativa. Ma attraverso la determinazione e il piglio femminile di Brünnhilde (Nina Warren), che valorizzerà il sacrificio di Sigfrido e favorirà la presa di coscienza collettiva di poter essere “attori del proprio destino”.
Wagner, autentico uomo e genio di teatro, rappresenta e racconta in musica il tramonto della rassegnazione e l’alba di un’interpretazione personale, soggettiva e al tempo stesso “comunitaria” della trama umana, quale vera e propria grande sceneggiatura teatrale. Sintomatico come la semplice doppia battuta incalzante, che caratterizza uno dei motivi più suggestivi dell’opera: la Marcia Funebre di Sigfrido, si trasformi nell’ossessione ripetitiva: da lugubre commento drammatico a trionfo martellante di riscatto.
L’epilogo wagneriano barese ha fatto registrare una più che mai sicura, matura ed impeccabile prestazione dell’Orchestra della Fondazione Petruzzelli, magistralmente guidata dalla solida mano del direttore Reck. Che forse, per l’occasione, avrebbe meritato una presenza scenica più corposa, in stile con i palcoscenici solitamente affollati del grande compositore tedesco. La sensazione è stata quella di un corpo corale “alleggerito” (per carenza di ricorse?) e pertanto meno incisivo. A farne le spese, in qualche modo, è stato lo stesso cast, spesso costretto a colmare spazi fisici e sonori piuttosto larghi. Naturale che a risultarne esaltati, alla fine, siano stati la leadership e il carattere irritante del cattivo Hagen (al secolo “indigeno” Bjarni Thor Kristinsson), nonché i costumi e i movimenti scenici delle Ondine-Figlie del Reno (Valentina Farcas, Sara Allegretta, Hannah Esther Minutillo). Oltre alle scene, i costumi e a un insolito quanto piacevole uso dei colori di fondo.
Il trionfo della sofferta e fertile forza dell’amore. Unico antidoto “rivoluzionario e rigenerante” a tutto ciò che infesta il Reno, in cui riconosciamo l’intera umanità. Una forza che non può che identificarsi nella fusione sublime dell’umano e virile sacrificio e dell’eterno femminino. Epifanie complementari dell’Amore supremo. Una redenzione incarnata anche dalla complementarietà tra poesia e musica, scrittura e composizione: i due fuochi che animano con costanza l’ellisse cosmica wagneriana. “La glorificazione di Brünnhilde” pertanto, chiosa il musicologo francese Jean-Jacques Nattiez, “diventa redenzione degli uomini attraverso la musica”. O meglio, attraverso l’amore per la musica!
di Antonio V. Gelormini