Qualcuno dimentica che l’Italia è innanzitutto “l’Italia dei Comuni”, istituzioni che più dello Stato Unitario, più delle Province ed ancor più delle Regioni, affondano le proprie radici nella storia più antica e significativa del nostro amato Paese. Cancellare i piccoli comuni vuol dire cancellare una parte vitale della Repubblica, vuol dire eliminare il primo e vero presidio territoriale e sociale della Patria.
È oramai ben noto che i “risparmi” derivanti dalla soppressione dei Comuni con meno di mille abitanti costituiscono ben poca cosa, sono una risibile minor spesa, e in molti hanno già dimostrato che poco più di una decina di parlamentari costa allo Stato ben più degli organi elettivi di duemila piccoli Comuni.
Ecco perché non può essere accettata la norma dell’ultima manovra finanziaria che taglia i Comuni sotto i 1.000 abitanti: sonno della ragione, fumo negli occhi o cos’altro? Vi sono già numerose disposizioni che prevedono la gestione associata dei servizi per i piccoli – e non solo piccoli – Comuni, consentendo effettivi risparmi di spesa, attraverso meccanismi di razionalizzazione ed economie di scala: cancellare le rappresentanze democratiche nelle piccole realtà (peraltro già ridotte in una recente manovra del Governo, già operativa con le elezioni amministrative della primavera scorsa) significa voler tagliare il rapporto – in queste realtà sì reale e quotidiano – rappresentante/rappresentato.
Per questo anche i Comuni dell’Appennino Foggiano, in particolare Celle di San Vito, Biccari, Celenza Valfortore, Roseto Valfortore e Volturara Appula, intendono far sentire la propria voce, insieme a tutti gli altri piccoli comuni d’Italia, a difesa delle peculiarità, delle tradizioni e della cultura che nei secoli caratterizzano le comunità locali, che si identificano ciascuna nel proprio comune, prima ancora che nelle altre istituzioni; nutrite delegazioni di Celle di San Vito e di altri comuni appenninici foggiani parteciperanno alla mobilitazione nazionale, che culminerà a Roma venerdì 26 agosto, in Piazza Colonna davanti a Palazzo Chigi, ed a Milano lunedì 29 agosto.
Come si può rinunciare all’eccellenza del piccolo borgo, elemento portante della promozione turistica nel mondo del “fascino dell’Italia nascosta”, come giustamente ha osservato l’Associazione “I borghi più belli d’Italia”? Come si può piegare alla logica del “taglio pari” la necessità di mantenere e sviluppare comunità che, nella maggior parte dei casi, sono l’unico presidio al degrado del territorio e della società? Come si fa a non avvedersi che sono proprio i piccoli comuni a garantire il mantenimento di una rete di servizi e di attività ad un livello di diffusione tale da coprire tutti i territori, altrimenti destinati all’ulteriore abbandono e degrado? E come si può comprendere che insieme ai piccoli comuni si sopprimerebbero anche molte minoranze linguistiche che l’Italia e la sua Costituzione vogliono tutelare e proteggere?
Certamente occorre rivedere l’organizzazione degli Enti locali, ma non si possono accettare i tagli indiscriminati che questa manovra sta imponendo, soprattutto sui piccoli comuni che sempre più spesso dimostrano di essere non solo custodi delle tradizioni, ma anche laboratori ideali di innovazioni e di eccellenze. Non lo diciamo noi amministratori interessati, ma Associazioni come Legambiente, che ha giustamente messo in risalto come ben il 94% dei comuni italiani con meno di cinquemila abitanti ha almeno un impianto da fonti rinnovabili sul proprio territorio, che circa il 68% degli oltre duemila comuni presenti all’interno delle aree protette è un piccolo comune, che i Piccoli Comuni rappresentano la spina dorsale del sistema delle identità alimentari italiano (con il 94% che ha ottenuto il riconoscimento di almeno un prodotto DOP, il 60% presenta tra 1 e 3 DOP, il 20% tra 4 e 5 DOP e il 14% addirittura tra 6 e 7 DOP), e che i piccoli municipi dimostrano di poter riattivare economie sane e sostenibili, investendo sulle fonti rinnovabili, praticando il risparmio energetico e la raccolta differenziata, applicando sistemi di qualità in agricoltura e nelle produzioni manifatturiere.
Non è accettabile, perché non è credibile, che le spese per gli organi rappresentativi di Celle di San Vito (dove Sindaco e Assessori hanno rinunciato all’indennità sin dall’insediamento) e degli altri Comuni come Celle di San Vito sono corresponsabili del dissesto dello Stato. Non è forse che, ancora una volta, la scure si abbatte sui più deboli per non intaccare i privilegi dei più forti? A Celle di San Vito, e per quanto consta anche nella quasi totalità dei piccoli Comuni, gli amministratori non hanno auto blu, pagano in proprio i biglietti dei servizi pubblici per spostarsi e non godono di nessun privilegio. Quale costo allora rappresentano per lo Stato? Il nostro territorio non è ricco per quello che ci assegna lo Stato, ma è ricco di storia, di natura e di memoria collettiva. Per questo, quale Sindaco del più piccolo Comune della Puglia, grido NO all’accorpamento e mi batterò con gli altri colleghi sindaci per evitare questa ingiusta, improvvida e deleteria decisione del Governo.
Palma Maria Giannini