Fervono a Torremaggiore i preparativi per la realizzazione dello spettacolo teatrale in due atti dal titolo: “L’ultimo dì a corte di Federico”, nell’ambito della 27^ edizione del Corteo Storico di Fiorentino e Federico II. La rappresentazione, che sarà messa in scena il 31 luglio, viene curata dal Centro Attività Culturali “Don Tommaso Leccisotti”, con il patrocinio dell’Amministrazione Comunale di Torremaggiore e della Provincia di Foggia.
Lo spettacolo, realizzato con un nutrito cast, rappresentato da 15 attori locali e una trentina di comparse, oltre a danzatrici, sputafuoco e trampolieri, si avvale della consulenza tecnica, musicale, artistica e professionale di persone qualificate, ognuno per la propria competenza, tutte di Torremaggiore.
La trama si svolge a Castel Fiorentino, città medievale in agro di Torremaggiore, la cui quiete quotidiana nell’anno 1250 viene sconvolta dall’arrivo improvviso del corteo imperiale dello Stupor Mundi. Federico, ammalato per via di una grave infezione intestinale (che a volte suscita l’ilarità sulla bocca degli ebeti, frivoli ed incolti), viene condotto con molta fretta nella Domus solaciorum della cittadina dauna.
Tutta la corte del Sacro Romano Impero si sposta in quei frenetici giorni di dicembre a Fiorentino, ministri e funzionari dello stato si accalcano nella piccola cittadella medievale, il cui nome “flore”, risulta essere un triste presagio per la vita del grande Svevo. Il vaticinio dell’astrologo Michele Scoto, rivolto al Puer Apuliae e portato in scena dall’infausto intervento di una sibilla, ricorderà agli spettatori la fine di Federico in un luogo “sub flore apud portam ferream”.
Così tra gli intrighi di corte, il tradimento di Pier delle Vigne e i tentativi di avvelenare l’imperatore da parte di un potere occulto nemico, abilmente manovrato dalla bramosia spietata di papa Innocenzo IV, che intendeva eliminare fisicamente l’imperatore, definito la “bestia dell’Apocalisse”, si consuma tragicamente la storia del più grande sovrano medievale, se non di tutti i tempi.
Federico fa in tempo però a dettare il suo testamento, redatto proprio a Fiorentino il 17 dicembre, da un alto valore e significato universale, in quanto tutela in special modo i diritti degli antichi demani del Regno di Sicilia, che nessun potere potrà mai scalfire. Egli, uomo e Capo di Stato illuminato e moderno, ha precorso i tempi in ogni campo dello scibile umano, dall’arte diplomatica alle scienze (vedi: il trattato “De Arte Venandi cum avibus…”), dalla cultura (Scuola poetica siciliana e Università statale laica), al diritto (Costituzioni Melfitane: tutti gli uomini sono uguali di fronte alla legge), dall’architettura all’integrazione sociale.
Egli fu il primo, non solo a teorizzare e a sostenere il principio del “libero stato in libera chiesa”, tema riproposto nell’Ottocento dal conte di Cavour, ma a voler concretizzare un disegno unitario dell’Italia sotto la propria monarchia, fondata non sui privilegi, di cui era permeato il mondo medievale, ma sulle leggi dal valore universale per tutti, senza discriminazioni di sorta, né in base al ceto sociale, né al credo religioso, né alla razza, con particolare tutela sociale per gli individui più svantaggiati, quali gli orfani e le vedove. Fu proprio nel periodo del governo federiciano che si formò l’Italia come nazione per via della lingua (la Scuola poetica siciliana) e delle arti.
Il suo tentativo fu aspramente osteggiato dal Papato che, per non perdere il proprio potere temporale e l’influenza a livello internazionale, si servì di contraltari, quali i comuni della Lega lombarda, per opporre un’agguerrita resistenza mediante guerriglia o, peggio, facendo ricorso a forze straniere e mercenarie che dal 1266 (con l’arrivo a Napoli degli Angioini) hanno sempre saccheggiato il florido Meridione d’Italia, visto solamente come una colonia da sfruttare. Tale deprecabile principio coloniale venne applicato anche durante e dopo l’unificazione italiana del 1861, aggravando la cosiddetta questione meridionale.
Centro Attività Culturali “Don Tommaso Leccisotti”