Al di là dei proclami, dei propositi e delle aspirazioni più o meno dichiarate, comincia a diventare piuttosto evidente il ripiegamento del turismo italiano verso una dimensione marcatamente domestica, in una preoccupante difficoltà a restare in sintonia con i tempi da fibra ottica dei processi di riqualificazione e di innovazione dell’offerta turistica globale.
Non cresce e dà segni di cedimento il numero di arrivi di turisti in Italia, nonché quello delle presenze e soprattutto degli stranieri. E’ vero che la Puglia continua a sfornare dati in controtendenza, ma nel contesto generale diventa di seguito domestica la stessa performance della regione, che si avverte “faro e ponte” della proiezione euro-italiana nel Mediterraneo.
Che si tratti di turismo balneare, devozionale, termale o ambientale le cifre, nei loro trend in crescita o in frenata, mantengono un’inclemente e coerente simmetria: per oltre il 90% è tutto turismo di prossimità. Dove prossimità, nel moderno contesto globale, diventa concetto estensibile ad ambiti sia interregionali che nazionali, tutt’al più declinabile nelle sotto-tipologie di prossimità corta, prossimità media e prossimità lunga. Segmenti che si ingrossano perché latita la clientela internazionale.
Facile immaginare come ne consegua un concentramento di flussi nei picchi di stagione, una scarsa produzione di permanenze lunghe e differenziate, una mancanza di stimoli alla conversione dell’offerta-prodotto verso “l’alto di gamma”, una estrema difficoltà ad intraprendere concreti percorsi di destagionalizzazione.
Anche i dati gratificanti del traffico aeroportuale andrebbero letti con occhio magari più critico. Perché se è vero che le file di pugliesi sono lunghe e numerose, in partenza sui voli ad esempio per Valencia o Berlino, è altrettanto vero che all’arrivo le altrettanto lunghe file in attesa del volo di ritorno sono formate sempre da pugliesi partiti in precedenza. Di spagnoli o tedeschi, che vengono da questa parte, nemmeno l’ombra.
Il che porta in primo piano un altro aspetto inquietante, forse reso ancora meno visibile dalle recenti polemiche sul Decreto Sviluppo e sulla mela avvelenata del “diritto di superficie ventennale” per le spiagge italiane, che secondo il ministro Tremonti: “Avrebbe distratto gli analisti dalla strategica istituzione dei distretti turistici” (arrivando con tre anni di ritardo rispetto al Forum Puglia del 2008). In pratica, il calo del potere attrattivo dell’offerta costiera italiana nel suo insieme e tutto quel che ne può conseguire per l’intero comparto del balneare.
Difficile immaginare programmi di sviluppo basati sui solo flussi di prossimità, in particolare quando i venti di crisi spirano per tutti, come se il vaso di Pandora fosse permanentemente aperto. Se così è, l’entroterra che sia d’Italia o di Puglia diventa la carta più forte da giocare in questo momento decisamente difficile. Non più come valore aggiunto alla costa, ma come autentico ed unico attrattore turistico-culturale, funzionale a un’offerta balneare, che ha urgente bisogno di stagioni più lunghe e di rilancio degli investimenti. Per tornare a competere con altre destinazioni mediterranee, all’insegna della qualità dei servizi e della tipicità delle identità locali.
In tali frangenti scegliere il Subappennino Dauno, per investirvi il progetto di eccellenza del Ministero del Turismo, è progetto lungimirante e strategico. Ma l’area o distretto rischia di essere percepita come un trompe l’oeil, finché continuerà ad essere identificata col brand dei Monti Dauni. Un’entità territoriale turisticamente inesistente, nata da escamotage politico-amministrativi in occasione dell’abolizione delle Comunità Montane, e di scarsa evocazione emotiva. Visto che difficilmente si deciderà mai di venire in Puglia, per andare in montagna. Molto più affascinante sarebbe, invece, puntare sulla valorizzazione della “collina”.
La collina nella sua accezione suggestiva di territorio aspro reso dolce dalla fatica e dal lavoro che da sempre lo abitano, di dolcezza proposta lungo i crinali di orizzonti vivaci, talvolta sfuggenti e modulatamente variegati. Un caleidoscopio di tradizioni, di proposte enogastronomiche eccellenti, nonché scrigno di un patrimonio culturale incontaminato.
E’ marketing territoriale, ma anche rivendicazione di un patrimonio identitario diffuso. Siamo in tanti a condividere l’intima appartenenza alla dolcezza delle colline di “Mamma Daunia” (Leon Marino, olio su tela – 1997), e allo sguardo sperduto nell’orizzonte senza fine del Tavoliere. Ma in pochi, o forse alcuno, alla percezione di essere circondati da un’improbabile corona di “Monti Dauni”.
di Antonio V. Gelormini